martedì 28 agosto 2007

Ride - Going Blank Again [Creation Rec. 1992 - Ignition 2001]

Del genere cosiddetto "Shoegaze" ammetto di sapere colpevolmente poco, e di non aver sicuramente ascoltato a sufficienza all'infuori degli imprescindibili My Bloody Valentine, degli Slowdive e, appunto, dei Ride. E questo è un difetto a cui dovrò porre rimedio quanto prima, perchè questo genere mi piace e parecchio.

Nello shoegaze domina il "wall of sound" delle distorsioni, un'entità senza una forma definita, saturo di feedback ed effetti al punto di diventare ridondante; sotto ad esso si insinuano melodie eteree e suadenti, e voci timide, distanti, quasi sussurrate. Queste, a grandi linee, le caratteristiche del genere.
"Going Blank Again" esce nel 1992 ed è il successore di quello che è senz'ombra di dubbio uno dei classici del genere, "Nowhere" del 1990.
Già con la prima traccia, il singolo "Leave Them All Behind" (della durata di ben 8'17"), appare evidente come la composizione del quartetto di Oxford si sia fatta più meticolosa, la ricerca della melodia ancora più accentuata. Le voci si sdoppiano creando dei cori soffusi e avvolgenti, e il tutto ha un suono terribilmente piacevole, oserei dire pop.
E pop è proprio la parola adatta per la seconda traccia, Twisterella. Scelto come secondo singolo, Twisterella altro non è se non una piccola ed esemplare gemma di pop-rock, un pezzo semplicemente delizioso e perfetto.
Ma gli episodi degni di nota sono tanti: Chrome Waves, un mid-tempo malinconico sostenuto da una potente chitarra acustica, Time After Time, Time Machine, OX4. Nel 2001 esce una riedizione del disco, contenente quattro tracce in più (tratte dai singoli "Leave Them All Behind" e "Twisterella"), tra cui proprio "Going Blank Again", che rasenta la perfezione nell'intrecciarsi delle linee melodiche di voci, chitarre e basso.

"Going Blank Again" è un disco che punta tantissimo sulla melodia di qualità, così come sull'aura "dreamy" tipica del genere, e raggiunge splendidamente l'obiettivo: è un album validissimo in grado di piacere a un'ampia fascia di ascoltatori, un potenziale successo che purtroppo fu tale solo a livello di critica.

Voto: 8,5/10


Tracklist:

1. Leave Them All Behind
2. Twisterella
3. Not Fazed
4. Chrome Waves
5. Mou
se Trap
6. Time of Her Time
7. Cool Your Boots
8. Making Judy Smile
9. Time
Machine
10. Ox4

bonus tracks della ristampa 2001:

11. Going Blank Again *
12. Howard Huges
13. Stampede *
14. Grasshopper **




* d
al singolo "Twisterella"




** dal singolo "Leave Them All Behind"



Collegamenti:

http://www.rideox4.net/

martedì 21 agosto 2007

Kamikaze Girls, delirio pop fra lolite e teppiste motorizzate

Stasera ho visto Kamikaze Girls, un film del 2004 di Tetsuya Nakashima. Protagoniste Anna Tsuchiya e Kyoko Fukada - entrambe oltre che attrici anche modelle e cantanti pop, cosa che diversamente da quanto accadrebbe in Occidente non fa automaticamente del film una mera operazione commerciale, anzi.
Momoko (Kyoko Fukada) è una ragazza di diciassette anni, la cui unica e vera vocazione è lo stile Rococò; spende somme esorbitanti per comprarsi vestiti da bambola tutti merletti e pizzi. Crede di non avere bisogno di nessuno, e difatti non ha amici, solo un padre yakuza sfigato e una nonna un po’ toccata.
Ichigo (Anna Tsuchiya) di anni ne ha 18 e fa parte di una temuta gang di motocicliste, le Ponytails, è sfrontata, volgare e coraggiosa; ma forse non è tutto qui...
Che avranno mai queste due in comune? Assolutamente nulla, eppure piano piano e contro ogni aspettativa tra di loro si creerà una forte amicizia che le porterà entrambe a superare i propri limiti e le proprie paure….

Che dire, questa sbrilluccicosa pellicola ultrapop, che sembra spesso un manga, o un anime, “in carne ed ossa”, mi è decisamente piaciuta. Le frequenti scene surreali, anzi spesso del tutto demenziali, il ricorso all’animazione, il continuo crossover tra generi diversi, gli arditi espedienti narrativi, e infine una inaspettata profondità nel trasmettere il forte legame che si va instaurando tra le due protagoniste; tutte cose che mi hanno reso la visione di questo Shimotsuma Monogatari più che piacevole, se non appassionante.
Sicuramente anche solo dal punto di vista estetico è un film che vale la pena vedere.
Ottima inoltre la colonna sonora, curata dalla grandissima Yoko Kanno e con la presenza di alcuni artisti pop-rock, fra cui la da me adorata Tommy heavenly6, al secolo Tomoko Kawase.
Per chi fosse interessato il film esiste anche in edizione italiana.













Collegamenti:

http://www.kamikazegirls.net/news.html


venerdì 17 agosto 2007

Turing Machine - Zwei [Frenchkiss 2004]

Una macchina di Turing è una macchina formale, cioè un sistema formale che può descriversi come un meccanismo ideale, ma in linea di principio realizzabile concretamente, che può trovarsi in stati ben determinati, opera su stringhe in base a regole ben precise e costituisce un modello di calcolo. (da wikipedia)

Dopo questa esemplificativa premessa posso dire che questo disco è stato una vera folgorazione. Ancora math-rock (ma niente a che vedere con gli Ahleuchatistas là sotto), ancora partiture studiate a tavolino, incastri ritmici and so on. Certo detto così sembra freddo che più freddo non si può, e invece manco a dirlo ho scoperto che spesso è tutto il contrario. Come in questo caso.
I Turing Machine propongono pezzi strumentali, di lunghezza media piuttosto elevata, in cui è fortemente percepibile da una parte il richiamo al Kraut Rock di NEU! e compagnia bella, per la lunghezza dei pezzi e la loro ciclicità, e dall’altra parte il gusto appunto per i giochi ritmici, una concezione della musica che sembra quasi ludica, un giocare con essa e con le sue regole.
Tuttavia i Turing Machine confezionano dei pezzi di grande impatto, ritmatissimi, melodici, addirittura tremendamente ballabili. Il ritmo che si ripete, e lentamente evolve, dopo qualche minuto diventa una sorta di vortice ipnotico, un magma ribollente che cattura ogni percezione dell'ascoltatore trascinandolo verso uno stato di assoluta fusione con la musica.
La formazione è a tre, chitarra, basso e batteria, e il missaggio contribuisce in maniera cruciale alla resa del tutto: ogni strumento ha uno spazio tutto suo, in cui si muove e si fa sentire in tutta libertà. Anche se a fare la parte del leone sono proprio basso e batteria, miscelati in modo da creare un groove irresistibile.
Visti i "confini" in cui si muove questo tipo di musica, sembra paradossale a dirsi, ma sono convinto che almeno un paio di questi pezzi su un dancefloor ricettivo sarebbero delle vere e proprie bombe.

Fatevi un favore e ascoltateli.

Voto: 7,5/10

Tracklist

1. (Dr. R. Von) Poodles
2. Bleach It Black
3. Bitte, Baby, Bitte
4. Don't Mind If I Don't
5. Whodu Wudo
6. Synchronicity III
7. Rock. Paper. Rock.

Collegamenti:

http://www.turingmachinemusic.com/

http://www.frenchkissrecords.com/bands_turingMachine.html


mercoledì 15 agosto 2007

Silent Hill 3, il fascino degli incubi

Silent Hill 3 nasce nel 2003 ed è – strano eh? – il terzo capitolo della celebrata saga di Silent Hill targata Konami. Quello a cui appartiene è un filone videoludico molto specifico, definito “survival horror”; in sintesi, l’esperienza di gioco punta su situazioni e scenari tesi ad accrescere la tensione del giocatore, e sulla generale scarsità di mezzi a disposizione per fronteggiare minacce e nemici. Questo, se il gioco è ben fatto, contribuisce a creare un’atmosfera soffocante e spaventosa.

Venendo al titolo in questione, premetto che non ho mai giocato esaustivamente né al primo capitolo della saga di SH, né al secondo.

Tuttavia ricordo, dalle prime scene di entrambi, di aver avuto l’impressione che una grande dose di energie fosse stata profusa dagli sviluppatori nel cercare di creare qualcosa di profondamente coinvolgente.

E infatti.








Quando installo ed avvio per la prima volta Silent Hill 3 vengo letteralmente travolto da una presentazione spaventosa, in tutti i sensi. Sullla base di uno splendido quanto malinconico pezzo pop/rock (che prende palese ispirazione, così a orecchio, dall’esemplare “(Dont’ Fear) The Reaper” dei Blue Öyster Cult) mi scorrono davanti agli occhi immagini di una forza e visionarietà potentissime.

Ancora prima della presentazione una manciata di fotogrammi mostrano una scena che basta a far accapponare la pelle quanto dieci “the ring” messi insieme.

Guarda la presentazione:





Ora non mi dilungo sulla storia sennò finisco domani, basti sapere che la protagonista è una ragazza di 15 anni, Heather; durante una semplice visita ai grandi magazzini si ritrova catapultata in un mondo da incubo, in cui la realtà e il sogno tendono ad avvicendarsi senza soluzione di continuità. L’incontro con una spettrale donna bionda, Claudia, insinua in lei il sospetto che la sua vita e i suoi ricordi celino qualcosa di dimenticato e mostruoso…






Parliamo un attimo dell'aspetto tecnico: durante le fasi di gioco vero e proprio si notano subito gli effetti di luce in tempo reale e uno spettacolare effetto "sgranato" tipo pellicola, che se possibile dà ancora di più la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di maggiormente simile ad un film che non ad un videogame. Lo stesso dicasi per le cosiddette “scene d’intermezzo” (cutscenes), realizzate con tale maestria che più di una volta mi sono quasi commosso nel seguire la tormentata storia della bella Heather.






I personaggi di Silent Hill 3

Per quanto riguarda il gameplay, SH3 alterna fasi di esplorazione, combattimento con armi da corpo a corpo e da fuoco, e di risoluzione di enigmi; questi ultimi, a meno che si scelga la modalità "difficile", non sono mai complicatissimi, anche se un paio mi hanno dato da pensare parecchio ....
Così come gli avversari che ci troviamo ad affrontare, gli scenari che incontriamo nel gioco sono realizzati all’insegna della fantasia più malata, e spesso hanno la peculiarità di mutare sotto i nostri occhi da locations normali a stanze da incubo, o di presentare elementi visivi non influenti ai fini del gioco, ma messi lì apposta per far rizzare i capelli.
E la cosa di gran lunga più importante è proprio il grado di coinvolgimento che questo incredibile gioco riesce a generare. Questo sia perché giocarci di notte, al buio, e magari con le cuffie è un'esperienza che fa gelare il sangue - grazie anche alla riuscitissima sonorizzazione ambientale: "quei passi li ho sentiti nel gioco oppure ...?!?!?" - ma anche e soprattutto perchè a sostenere questo riuscitissimo survival horror c'è una storia tanto disturbata quanto intrigante, e dei filmati che non fanno rimpiangere le scene di un film vero e proprio.

Per finire una menzione per l'ottima colonna sonora composta da Akira Yamaoka, che oltre ai vari e raccapriccianti "sottofondi" durante il gioco, spesso tendenti ad una sorta di ambient-industrial-infernale, contiene vere e proprie canzoni originali.

Concludendo, Silent Hill 3 è un gioco semplicemente stupendo, sapientemente costruito, in cui il confine fra i termini giocatore e spettatore si assottiglia fino a divenire quasi irrilevante, un'esperienza che non può che lasciare il segno.

Se dovessi dare un voto, sarebbe senza dubbio 10/10.


Collegamenti:

http://www.silenthill3.de/

http://it.wikipedia.org/wiki/Silent_Hill_3

Silent Hill - gli incubi prendono forma sul grande schermo

domenica 12 agosto 2007

Maaya Sakamoto - Shounen Alice [Victor Entertainment 2003]

Ok, il jpop è una cosa un pò particolare, ci vuole un gusto di un certo tipo per apprezzarlo; io personalmente amo una manciata artisti, e in generale ritengo che in quanto a melodie e ritornelli accattivanti i giapponesi ne sappiano a pacchi - per non parlare degli arrangiamenti.
Poi forse rischierò di essere anche poco obiettivo in alcuni casi, visto il mio generale interesse per quanto proviene dal Sol Levante... ma di questo sono consapevole.
In definitiva bisogna saper scegliere, perché le ciofeche abbondano pure lì.

Tuttavia questo album mi sento di consigliarlo a chiunque, visto che chiunque abbia un minimo di sensibilità non potrà che apprezzarlo o quantomeno riconoscerne il valore; qui siamo di fronte ad un disco per cui la parola “pop” (o J-pop) è assolutamente riduttiva e poco appropriata.
La lunga collaborazione con la bravissima e prolifica compositrice Yoko Kanno dà qui i suoi massimi frutti, nella ricerca melodica, negli arrangiamenti (talmente cesellati da sfociare nella maniacalità), nella capacità di dipingere splendidi e cangianti affreschi la cui carica emotiva risulterà molto probabilmente ignota alle orecchie dell’ascoltatore occidentale impreparato.
Impossibile non restare attoniti di fronte ad pezzo imponente come “Sora Wo Miro”, o non farsi sedurre dal malinconico tema di “Kingfisher Girl” o da quello dal sentore cinematografico di “Park Amsterdam: the Whole Story”.
Passando per brani dalle sonorità quasi progressive come “Yoru“ ed altri semplicemente e incredibilmente “solari” come Makiba Alice!”, ecco forse il disco più completo della Sakamoto, il più maturo e convincente anche a livello formale.
Purtroppo il successivo Yunagi Loop segnerà un passo indietro rispetto a questo disco, complice anche (e soprattutto) l’abbandono della Kanno, e il ritorno ad atmosfere più tipicamente J-pop, un po’ più frivole anche se comunque apprezzabili; resta il fatto che Maaya in ogni sua interpretazione ha una voce semplicemente divina, e un'intonazione spaventosa anche dal vivo.


Tracklist:
  1. The Astronaut's Song (Uchū Hikōshi no Uta) (tie-in song for NHK's Minna no Uta series)
  2. Look at the Sky (Sora wo Miro)
  3. Scrap: Farewell Poem (SukurappuWakare no Shi)
  4. Makiba Alice!
  5. Midday Snow (Mahiru ga Yuki)
  6. Kingfisher Girl: The Song of "Wish You Were Here"
  7. Hero
  8. Night (Yoru)
  9. Call to Me
  10. Let There Be Light (Hikari Are) (the December 2003 "Power Play" song for BAY-FM in Chiba City, Japan)
  11. Little Folk (Chibikko Folk)
  12. park amsterdam (the whole story)
  13. 03 (theme song for the original DVD 03†)
  14. Good-bye Letter (Okitegami)
Voto: 9,0/10

Collegamenti:

http://www.maayasakamoto.net/

e se qualche temerario volesse comprarlo

http://www.cdjapan.co.jp/

venerdì 10 agosto 2007

The Go! Team, nostalgia del futuro

Il 10 Settembre esce il nuovo disco del Go! Team, e io ovviamente non ho resistito alla tentazione di ascoltarmelo "in anteprima".
Ma andiamo con ordine.

Nel Settembre del 2004 esce "Thunder, Lightning, Strike"; ne sento parlare, mi incuriosisce, lo ascolto - un po' intimorito, lo ammetto, da quella tigre scarabocchiata in copertina.
E' uno shock: è un sound inclassificabile, o meglio classificabile in mille modi diversi allo stesso tempo. Nella musica del Go! Team c'è di tutto: rock, sigle di telefilm d'azione, cori di cheerleaders, rap, funky, hip-hop, samples. Ma non uno alla volta, troppo semplice. No, tutto insieme.
E' uno stile all'apparenza caotico, ci sono due batteristi, una cantante rapper nera che si fa chiamare Ninja MC, chitarre, banjo, armonica, e un livello sonoro si aggiunge all'altro in maniera pressoché indiscriminata, per giunta in una produzione ostinatamente Lo-Fi.
E allora? E allora il risultato è unico. Personalmente classifico la musica del Go! Team fra le più evocative che abbia incontrato, anche perchè legata in gran parte ad un periodo in cui ero bambino e quello che sentivo dalla tv erano le sigle di Hazzard, Starsky & Hutch, o dei cartoni animati.













Ecco, nella loro musica vedo appunto un ponte verso il passato (ma sarebbe meglio dire tra passato e futuro), il tirar fuori dal cilindro una sensibilità legata a quel periodo e frullarla insieme ad altri ingredienti creando un meltin' pot roboante ed incontenibile, un revival che non è già più tale dacché finisce per formare qualcosa di inedito, di inconfutabilmente nuovo.


Il nuovo album si intitola, non a caso, Proof of Youth.
Ad aprire la strada c'è un singolo, "Grip like a Vice", che forse non mette in chiaro le cose come l'opener del debutto "Panther Dash" , ma ormai i nostri non hanno bisogno di presentazioni.
Proseguendo con le tracce è chiaro che non ci sono stati cambi di direzione, il sound è il loro, inconfondibile; "Do it! Do it! All right!" scandisce Ninja Mc nella seconda traccia, sostenuta da un ritmo funky, a ribadire che l'estetica del gruppo è e rimane all'insegna della pure action.
"My World" parte con un giro di chitarra acustica arpeggiato quasi strappalacrime, per proseguire con una melodia tutta storta e particolare.
"Titanic Vandalism" propone il loro sound "cinematografico" ai massimi livelli, un groove massacrante su cui si innestano i fiati e i cori vintage delle cheerleaders.
Una menzione assolutamente particolare per "The Wrath of Marcie". L'inizio pare un pezzo dei Chicago, un giro di fiati potente e maestoso, e appena entrano gli altri strumenti la melodia diventa ancora più accattivante, energica e malinconica allo stesso tempo. Il livello di potenza evocativa mi ricorda la splendida "Everyone's a V.I.P. to Someone" del debutto - che personalmente ho sempre ritenuto una "versione più gagliarda" di "Ce Matin La" degli Air.

In definitiva - per quanto il deflagrante effetto "new sensation" dell'esordio sia ovviamente irripetibile - i punti di forza di questo secondo album sono ancora quelli, ma a reggere la baracca alla grande sono soprattutto e ancora la carica, la fantasia e la creatività, sostenute da una invidiabile dose di ispirazione.

Collegamenti:

Anteprima del nuovo album su Last.fm

http://www.thegoteam.co.uk/

http://www.myspace.com/thegoteam

mercoledì 8 agosto 2007

Ida - Ten Small Paces [Simple Machines 1997]

Questo disco è l'ennesima conferma di quanti piccoli e grandi capolavori giacciano nella più completa invisibilità, vuoi perchè non usciti nel momento giusto, vuoi perchè non supportati da adeguati mezzi di promozione, vuoi perchè non si sa.
Gli Ida si formano a Brooklin, NY, nel 1992, e "Ten Small Paces", terzo lp, è del 1997.

Il terreno su cui prendono le loro mosse si divide tra il rock, il pop e il folk (a tutti e tre i termini ci starebbe bene pure un indie- davanti), e ad un primo ascolto certe melodie rarefatte e certe delicate armonizzazioni vocali mi hanno portato alla mente i Low; tuttavia nel sound degli Ida c'è una personalità che li differenzia ampiamente da chiunque altro.
E' un sound profondamente intimista, raccolto, quasi familiare, sensazioni accentuate dal sapore vagamente lo-fi della registrazione, in alcuni episodi non priva di fruscii di fondo.
"Les Etoiles Secretes" nella sua brevità e semplicità è un'opera d'arte, uno splendido intreccio di voce maschile e femminile.
Altra perla "Fallen Arrow"; una melodia sospesa e sognante nella strofa si apre in un ritornello che è una sorta di leggiadra ascesa, un delicato crescendo che ritorna quasi troppo presto alla calma da cui è scaturito.

"Oh this fallen arrow
Never found its way to your heart
I shot it with all I had left
It was a rocket in the sky until it tumbled to the ground
It was a rocket in the sky until it fell"

Splendide le evoluzioni post-rock di "Poor Dumb Bird", altro episodio vincente dell'album.
Il disco presenta alcune ottime cover, fra cui "Everybody Knows This is Nowhere" di Neil Young e "Golden Hours" di Brian Eno.

E la mia preferita è proprio una cover, "Shoe-in" dei Secret Stars, la cui formula originale viene arricchita nella rivisitazione degli Ida da delicatissimi tocchi di piano e dalla calda voce di Elizabeth Mitchell, guadagnando appunto quella dimensione "privata" che rende la loro musica tanto appassionante. Da brividi.

"Ten Small Paces" è un disco da scoprire assolutamente, uno di quei rari casi in cui la musica riesce ad arrivare dritta al cuore.

Tracklist:

01. Hilot
02. Les Etoiles Secretes
03. Fallen Arrow
04. The Weight
05. Everybody Knows This Is Nowhere
06. Blue Moon Of Livonia
07. Shoe-In
08. Poor Dumb Bird
09. Golden Hours
10. Ashokan Reservoir
11. Drunk Aviator
12. Do You Remember
13. Purely Coincidental
14. Dream Date
15. Capo

PLANETES, spazzini dello spazio

Tratta dal manga di Makoto Yukimura del 2001, PlanetEs (o in alfabeto greco ΠΛΑΝΗΤΕΣ, “vagabondi”) è una serie di fantascienza in 26 episodi, prodotta da Sunrise per la regia di Goro Taniguchi. E’ edita in Europa, fra cui l’Italia, da Beez Entertainment; sono disponibili tutti e sei i dvd in cui l’opera è stata suddivisa.

L’anno in cui si svolge la storia è il 2075; in questo periodo storico l’umanità, esaurite le risorse energetiche non rinnovabili, si è ormai spinta definitivamente al di fuori dell’atmosfera, arrivando a colonizzare permanentemente la Luna (allo scopo di estrarre l’Elio-3, nuova fonte di energia) e a creare diverse stazioni orbitanti, nonché una vasta rete di trasporti merci e passeggeri.
Un grave incidente che nel 2068 coinvolge un aereo passeggeri suborbitale porta all’attenzione del mondo un nuovo e grave problema: i detriti spaziali che negli anni si sono accumulati, scarti di lavorazione, satelliti in disuso, viaggiano nello spazio alla velocità di 30 m/s, intersecando le orbite su cui quotidianamente viaggiano merci e persone. Le conseguenze di un impatto con un detrito anche piccolissimo sarebbero disastrose. Ecco perché le grandi agenzie spaziali sono state costrette a dotarsi di particolari sezioni, le cosiddette “sezioni detriti”, i cui addetti ogni giorno escono nello spazio aperto allo scopo di recuperare questi detriti e mettere così in sicurezza le relative orbite.

Due parole sul primo episodio.
Tanabe Ai è una ventunenne giapponese al suo primo giorno di lavoro nello spazio; l’azienda per la quale lavorerà è la Technora, e la sezione a cui è stata assegnata è la sezione detriti. L’incontro coi suoi nuovi colleghi non è certo come se l’aspettava: il loro reparto è il più in basso di tutta la compagnia, una sorta di magazzino, definito malignamente "la mezza sezione". E loro non sembrano essere persone del tutto normali: il suo futuro senpai la accoglie con indosso una tuta spaziale e un grosso pannolone…
Superato lo shock iniziale, Tanabe inizierà il suo addestramento nello spazio, e comincerà a scoprire quanto il bistrattato lavoro di “spazzino dello spazio” sia impegnativo e importante per l’incolumità delle persone, scontrando il suo idealismo con le rigide e impietose leggi dell'azienda per cui lavora.








Dal punto di vista tecnico siamo di fronte ad un prodotto assolutamente ineccepibile. Le animazioni sono fluide e senza cali per tutti e 26 gli episodi, il character design è maturo e piacevole. Menzione particolare per il mecha design, che va di pari passo con il realismo della serie (di cui parlo dopo): già dalle primissime scene risulta evidente come ogni singolo dettaglio, ogni minimo particolare - in movimento e non - sia curato in maniera quasi maniacale. Buona la colonna sonora.








Planetes non è certo un’opera convenzionale, nè un’opera per tutti. Quello che intendo è che in questo anime di fantascienza non avremo scontri a fuoco impressionanti, né robottoni ipertecnologici, né tantomeno ostili alieni invasori. Quello che Planetes narra è la storia di alcuni uomini che in un futuro del tutto plausibile compiono un lavoro pericoloso e cruciale. Ma narra anche le loro aspirazioni, i loro sogni e i loro demoni personali in un ambiente problematico come il freddo spazio, metafora del desiderio di conquista dell’uomo, ma anche della sua paura di restare solo.
A fianco delle vicende personali dei protagonisti la serie pone diversi interrogativi; per esempio se sia giusto spendere risorse per colonizzare lo spazio mentre sul suolo terrestre permangono problemi irrisolti quali la povertà, la fame e le guerre. Oppure se sia ragionevole mettere i propri sogni prima di tutto, o credere che l’amore possa risolvere qualunque cosa.
Parlavo prima di realismo, senza dubbio uno dei punti di forza di Planetes. Sia in generale il futuro che ci viene presentato, che le infrastrutture di cui l’uomo si è dotato nel colonizzare lo spazio sono infatti state ideate nella maniera più verosimile - e probabile - possibile. All’interno delle stazioni spaziali, in cui la gravità è prossima allo zero, vedremo quindi grosse maniglie attaccate un po’ ovunque con lo scopo di fornire appigli utili per spostarsi da un punto all’altro. Le tute spaziali, chiuse anche sul viso per evitare le radiazioni solari, comunicano con l’esterno tramite un visore computerizzato attivabile tramite il tocco delle dita. In modo realistico sono affrontati anche i problemi che il vivere e lavorare nello spazio comporta: le radiazioni aumentano drasticamente l’incidenza di malattie come cancro e leucemia, così come le malattie di tipo psicologico dovute all’isolamento e alla lontananza dalla terra.
In quest’ottica, anche nella narrazione è una serie che non risparmia momenti di crudo realismo.

Come si sarà capito, ritengo Planetes poco meno che un capolavoro. E’ una serie adulta, intelligente, con personaggi di assoluta umanità, ben realizzata sotto ogni punto di vista; e ciò che è più importante offre una storia assolutamente appassionante, con momenti sia di grande drammaticità che, in particolare nei primi tredici episodi, di geniale umorismo. In parole povere vi farà ridere, piangere e riflettere; che potete volere di più?!

Voto: 9,0/10

Sito ufficiale