lunedì 19 maggio 2008

Kuntilanak, l'uomo nero indonesiano

















Kuntilanak

di Rizal Mantovani, Indonesia 2006
Genere: horror
Titolo alternativo: The Chanting

Samantha, da poco orfana della madre e costretta a vivere col patrigno che la molesta, si trasferisce da Giacarta in una specie di ostello situato in periferia, al di là di un cimitero, dove vivono altri ragazzi e ragazze. Qui la padrona di casa le racconta una strana storia sul Kuntilanak, uno spirito che vive negli alberi e che può venire evocato nel nostro mondo grazie ad un'antica cantilena.
Dopo aver sentito la cantilena Samantha inizia a sentirsi strana, e durante una lite con un'aggressiva vicina di stanza entra in una specie di trance ed inizia ad intonare il canto del Kuntilanak; le persone intorno a lei cominciano a morire l'una dopo l'altra. Riuscirà Sam a liberarsi dalla maledizione che pare averla colpita?



Nonostante siamo sempre nell'ambito "fantasmi", questo film indonesiano riesce a trattare l'argomento in modo abbastanza interessante, insistendo sulla tradizionale leggenda del Kuntilanak (reale e radicata nel sud-est asiatico), evitando di abusare dell'effetto "balzo sulla sedia" e puntando piuttosto a costruire un senso di tensione "totale". Il commento sonoro è in questo senso fondamentale; credo anzi di non aver mai visto un film in cui la musica, soprattutto di stampo così sinistro ed inquietante, sia non solo quasi onnipresente, ma spesso oltremodo insistita anche in situazioni non orrorifiche. Non abbiamo quindi i classici momenti di finta serenità o neutri tipici di molti film horror: in Kuntilanak la tensione musicalmente indotta non scende praticamente mai. Scelta coraggiosa e che funziona.


Purtroppo il film comincia a perdere punti proprio quando si inizia a mostrare sempre più nel dettaglio il "mostro" o "fantasma" in questione, ricadendo nei soliti clichè visuali triti e ritriti. Peccato, perchè la storia riesce ad essere, fino ad un certo punto, piuttosto originale ed intrigante, e ben supportata anche da una buona fotografia.
Attori nella media, tra cui però spicca la bella Julie Estelle.
Esistono due seguiti che per il momento non riesco a reperire - a quanto ho capito in Indonesia Kuntilanak è un grosso successo di botteghino.

Collegamenti:

Trailer


Sottotitoli AW

domenica 11 maggio 2008

Cinema in pillole, #3

















A Bloody Aria
di Won Shin-Yeon, Corea del Sud 2006
Genere: thriller/drammatico
Titolo originale: Guta Yubalja Deul

Park Young-sun, professore di musica, e In-jeong, sua studentessa, sono di ritorno da un'audizione.
Dopo un diverbio con un poliziotto prendono una strada secondaria e fanno una sosta; il luogo tranquillo e isolato svela le vere intenzioni del professore, e In-jeong si dà alla fuga.
Ma il posto si rivela non essere deserto, e i due finiranno coinvolti in un vortice di violenza e depravazione che non avrebbero mai neanche potuto immaginare.
A Bloody Aria è - appunto - un film di una violenza estrema, violenza tanto fisica quanto psicologica. Il ribaltamento dei ruoli, da vittima a carnefice e poi ancora a vittima e via così potenzialmente all'infinito, diventa dunque inevitabile: finchè ci sarà qualcuno di più debole su cui sfogare la propria rabbia, la propria sofferenza, non ci sarà fine.
I personaggi di A Bloody Aria, schiavi di questo circolo vizioso, hanno ormai in sè ben poco di umano, come ben sintetizza l'amara, incredula considerazione di In-jeong : "Non sei nemmeno un cane... un cane non farebbe una cosa del genere."
L'unico personaggio realmente "umano" della pellicola non può che sentirsi sconcertata e fuori posto in mezzo a tanta barbarie.
In definitiva si tratta di un thriller tutt'altro che superficiale, che mostra il lato peggiore dell'essere umano e lo fa con una grande eleganza stilistica e attraverso degli ottimi attori.
Mi ha pienamente convinto.



















Vibrator
di Ryuichi Hiroki, Giappone 2003
Genere: drammatico
Titolo originale: Vibrator

Rei è una trentenne giornalista freelance che soffre di disturbi psichici e alimentari.
Vive completamente scollegata dal mondo e dagli altri esseri umani, preda delle voci nella sua testa e della paura che il contatto con le persone possa costituire un pericolo.
Mentre in un supermercatino compra degli alcoolici, entra un camionista biondo ossigenato con degli stivali da pescatore. Il cuore di Rei, tramutatosi in telefono cellulare, vibra. "Mi piace", pensa.
Comincia così il viaggio di Rei e di Okabe, due perfetti sconosciuti che, nel microcosmo costituito dalla cabina del tir, scopriranno la forza dell'umana comprensione.
Il film di Ryuichi Hiroki è fondamentalmente un inno di speranza nei sentimenti umani. Pur dilungandosi un po' troppo in dialoghi triviali Vibrator convince e commuove, senza aver la presunzione di fornire risposte o mostrare inverosimili catarsi.

I due attori sono eccezionali, in particolare Shinobu Terashima (Rei) che regala un'interpretazione strepitosa.