domenica 27 aprile 2008

Playlist settimanale (20.04 - 26.04)

Svanita ormai ogni pretesa di puntualità, mi limiterò a sciorinarvi in modo disorganico e del tutto istintivo alcuni dei dischi ascoltati nelle ultime settimane.
Yo!












The National - Boxer [Beggars Banquet 2007]

Rock oscuro ed emozionale quello dei The National. La voce di Matt Berninger è profonda, baritonale, gli intrecci di chitarra belli e ricercati (Mistaken for Strangers). Si passa da brani chiaramente guitar-driven ad altri in cui il pianoforte assume un ruolo principale (vedi l'opener Fake Empire), ad altri ancora semi acustici (Green Gloves).
Quello che traspare in modo evidente da ognuno di questi episodi è una fortissima malinconia, una tragicità senza veli.
L'altra cosa che traspare è pura classe.

Voto: 7,7/10

Genere: indie folk/rock











Stars - Set Yourself on Fire [Arts & Crafts 2005]

Set Yourself on Fire è un disco indie-pop, ma definirlo così pare decisamente riduttivo. C'è una tale varietà in questi tredici pezzi, un tale eclettismo nel saltare con estrema naturalezza da una sonorità all'altra calcando anche terreni molto diversi tra loro, che ci si rende subito conto di trovarsi di fronte a qualcosa di non comune.
Basti prendere ad esempio le prime due tracce. Your Ex-Lover is Dead dopo un breve incipit classicheggiante - che mi ha ricordato da vicino certi arrangiamenti di Sufjan Stevens - si tramuta in una splendida ballata-rock-emotiva come nei migliori Death Cab for Cutie, da vera pelle d'oca.
La seconda traccia, Set yourself on Fire, esprime invece la vocazione più esplicitamente pop degli Stars (grazie ad una irresistibile fusione basso-synth-batteria-archi), per poi sfumare in una lunga coda in cui basso, voce, pianoforte e feedback di chitarra compongono un momento etereo e suggestivo.
Proseguendo nell'ascolto il disco è pieno di esempi del genere.
Per concludere, di carne al fuoco in questo Set Yourself on Fire ce n'è tanta, di talento pure, e gli esiti pur in una tale disomogeneità sono davvero buoni se non ottimi.

Voto: 8,0/10

Genere: indie pop













Lush - Lovelife [4AD/Reprise 1996]

Anche questo entra di diritto nell'olimpo dei "gioielli misconosciuti". Chiaramente influenzati dal filone shoegaze/dream pop di My Bloody Valentine e Ride, i Lush ne accentuano la connotazione (power)pop arricchendosi di melodie accattivanti, cori e arrangiamenti curatissimi.
A partire dall'opener Ladykillers, Lovelife è un incredibile concentrato di potenziali hits, di ritornelli da urlo, di soluzioni melodiche a volte più convenzionali, a volte addirittura inusuali, eppure sempre irresistibili.

Voto: 7,9/10

Genere: dream pop












The Sword - Age of Winters [Kemado 2006]

Non avrei mai pensato che un disco così chiaramente derivativo, o comunque dalle così palesi influenze, potesse acchiapparmi a questo modo.
I texani The Sword pescano a piene mani dal riffing dei Black Sabbath e dai macigni stoner degli Sleep, alternando con sfuriate ai limiti del thrash metal, ma sempre con quella tipica distorsione satura e ruvida che scalda il cuore.
Un gustoso tuffo nel passato, che grazie ad un songwriting tutt'altro che ingenuo regala diversi momenti di pura esaltazione.

Voto: 7,2/10

Genere: doom metal, stoner

martedì 15 aprile 2008

Re-Cycle, tentazioni horror e avventura fantasy


Titolo originale:
Gwai wik

Produzione: Cina/Thailandia, 2006

Genere: Horror/Fantasy

Regia: Oxide Pang Chun, Danny Pang

Sceneggiatura: Cub Chin

Durata: 108'


Ting-yin (Angelica Lee) è una giovane ma affermata scrittrice, che dopo una trilogia di romanzi d'amore annuncia il suo prossimo libro: Recycle, che avrà a che fare col soprannaturale.
A corto di ispirazione, cambia più volte idea sui personaggi e sulla trama.
Parallelamente iniziano ad accadere cose strane: trova dei lunghi capelli neri in casa, e riceve telefonate in cui si sentono solo scariche.

[Da qui in poi c'è un mini-spoiler, ma diversamente non avrei davvero niente di cui parlare, visto che il film comincia sul serio solo dopo questo colpo di scena. Chi vuol leggere legga, è tutta roba che si vede anche nei trailer comunque.]











Senza rendersene conto Ting-yin si troverà in un altro, strano mondo dove si accumulano le cose e le idee scartate e dimenticate; una bambina si offrirà di aiutarla a ritornare indietro.
L'idea prende origine dalla logica del "Recycle Bin", ovvero del "Cestino" che tutti abbiamo sul nostro desktop, dove vanno a finire le idee abortite e le cose non necessarie. Quando questi oggetti vengono eliminati, pur scomparendo alla vista rimangono presenti da qualche parte nel computer, in un luogo invisibile e sconosciuto.

Allora, cosa mi è piaciuto e cosa non mi è piaciuto.

Mi è piaciuto lo sforzo di dare vita ad un'avventura (perchè di questo si tratta, davvero non di un film horror) originale e visivamente/concettualmente ricercata.
Mi è piaciuta moltissimo Angelica Lee, forse l'unico vero motivo per cui alla fine promuoverò questo film.











E veniamo a quello che non mi è piaciuto.
Sorvoliamo sulle citazioni - ma direi più scopiazzature - sia dall'impianto stilistico/visivo in generale che da precise locations di Silent Hill, più una evidentissima da "La Città Incantata" (che però ho apprezzato).
Quello che meno mi è piaciuto è la sensazione per buona parte del film che i registi volessero semplicemente "riempire lo schermo" con paesaggi e visioni sì suggestive, ma che alla fine hanno tolto spazio a cose ben più importanti, come l'approfondimento della storia e dei personaggi, lasciato solo, e in parte, alle quasi-ultime (toccanti) battute. Prende il sopravvento una sorta di carosello di diverse, bizzarre locations, alcune riuscite, altre meno.
Ho trovato inoltre piuttosto trite ed evitabili le prime scene in classico stile horror-salto-sulla-sedia. Che funzionano sempre, ma non portano il film nè avanti nè indietro; giuro poi che non ne posso più di figure allampanate coi capelli lunghi neri davanti alla faccia.










In definitiva, Re-cycle annacqua gli elementi buoni a creare un film davvero potente con tante cose che in realtà non aggiungono nulla se non un po' di chicche visive.
Uscendo dalla pretesa di vedere chissà che capolavoro, quello dei fratelli Pang è invece un film godibilissimo, colorato, di buona fattura, fantasioso e che sul finale non risparmia forti emozioni.
A me il finale-finale ha fatto accapponare la pelle, ma tanto.

Come intrattenimento siamo comunque assai sopra la media.

Collegamenti:

Trailer

domenica 13 aprile 2008

Cinema in pillole, #2

Durante questa settimana ero in ferie, ho recuperato un po' di film che dovevo vedere da un pezzo, e così siamo al terzo post in pochi giorni. Non vi ci abituate.

















Spirit of Jeet Kune Do: Once Upon a Time in High School di Yu Ha, Corea 2004.
Genere: drammatico
Titolo originale: Maljukgeori janhoksa

Non so bene perchè mi sono procurato e guardato questo film, ma devo dire che non mi è dispiaciuto per niente.
1978, Corea del Sud. Hyun-soo, un ragazzo timido e introverso con la passione per Bruce Lee, si trasferisce in una nuova scuola, dove si scontra subito con un'organizzazione scolastica punitiva e di stampo militaresco, in cui alla violenza utilizzata dai professori per mantenere la disciplina si unisce il bullismo perpetrato dagli studenti senior alle matricole e ai più deboli.
Farà amicizia con lo spavaldo e manesco Woo-sik, fino a che la comparsa di una ragazza, Eun-ju, non creerà il classico triangolo amoroso che farà vacillare tutto.
Anche se questo può sembrare il tema principale del film, in realtà l'attenzione si sofferma decisamente più a fondo sulla denuncia di un sistema scolastico brutalmente meritocratico e disumanizzante, e sull'estrema violenza in esso presente a tutti i livelli, da quelli teppistici a quelli istituzionali. L'evoluzione del protagonista rappresenta un grido disperato, un rifiuto rivolto sia alle sue vicende personali che all'intero sistema.
Once Upon a Time in High School insomma è un film ben più complesso e profondo di quanto possa inizialmente apparire; sicuramente non un capolavoro nè un campione di originalità, ma personalmente trovo abbia degli indiscutibili punti di forza.
Ma soprattutto: la scena del combattimento sul tetto della scuola spacca il culo.


















Séance di Kiyoshi Kurosawa, Giappone 2000
Genere: thriller/horror
Titolo originale: Kourei

Una
séance è un incontro spirituale con lo scopo di ricevere messaggi dai morti. Una seduta spiritica, insomma.
Koji Sato lavora come tecnico del suono, ed è spesso impegnato in field recordings allo scopo di catturare rumori naturali come il fruscio del vento tra gli alberi o lo scroscio dell'acqua.
Sua moglie Junko è una casalinga dotata di poteri psichici, una cosiddetta medium in grado di mettersi in contatto con le anime dei defunti.
Il loro è un matrimonio fatto di grigia quotidianità, all'apparenza sereno ma ormai privo di slanci e linfa vitale.
Proprio per le sue doti Junko viene contattata dalla polizia che brancola nel buio nel caso del rapimento di una bambina. Una terribile, ironica coincidenza però rischia di far ricadere i sospetti proprio su Koji e Junko...
Purtroppo non posso raccontare oltre per non rovinare la trama, piuttosto articolata e originale.
Il merito di questo film sta nel coniugare la dimensione del giallo o thriller, sviluppata in maniera avvincente seppur dimessa, con l'horror degli spettri adirati e vendicativi, riuscendo peraltro in questo secondo frangente a riciclare in maniera non pedissequa certi clichè visivi di Ringu-iana derivazione.
Splendida inoltre la fotografia, che pur restando su tonalità grigie, sbiadite - in tono con l'ambiente familiare dove la storia ha il suo nucleo - ha dei momenti di grande suggestione.

venerdì 11 aprile 2008

Noroi - l'inferno documentato su videotape

Titolo originale: Noroi

Produzione: Giappone, 2005

Genere:
Horror

Regia:
Kôji Shiraishi

Sceneggiatura:

Kôji Shiraishi, Naoyuki Yokota

Durata: 115'


La notte del 12 aprile 2004 la casa di Masafumi Kobayashi, giornalista del paranormale, va a fuoco. In seguito la moglie di Kobayashi, Keiko, viene ritrovata carbonizzata fra le macerie. Il corpo di Kobayashi non viene ritrovato. Ad oggi risulta ancora scomparso. Kobayashi aveva da poco ultimato un video documentario intitolato “Noroi – La Maledizione”, in cui era ricostruita la sua indagine riguardante la sparizione di una bambina dotata di poteri psichici, la presunta possessione di una giovane attrice e altri fatti inspiegabili, e la loro apparente correlazione con degli antichi e non documentati rituali compiuti nel villaggio di Shimokage, sommerso da un lago artificiale nel 1978.


Noroi utilizza per la narrazione l’espediente della videocassetta-documento che già fece la fortuna (meritata? Chissà) di The Blair Witch Project, con l’ovvio e subdolo scopo di sfumare e confondere la linea di confine tra fiction e realtà, tra immaginazione e cronaca vera.
E ci riesce.
La telecamera a mano si sostituisce quindi ai nostri occhi, rendendoci testimoni diretti di eventi inspiegabili e terrificanti, nei panni del cameraman di Kobayashi o di Kobayashi stesso.
L’intelligenza di Noroi sta nel non catapultarci subito negli eventi, facendoci seguire anche le ricerche a vuoto, i falsi indizi, la raccolta di testimonianze. Oltre a questo ci vengono mostrati in continuazione spezzoni di varietà televisivi, notiziari, articoli di giornale in qualche modo connessi all’indagine.
Tutto questo sempre e solo con lo scopo di aumentare il senso di verosimiglianza di quello a cui stiamo assistendo, passando gradualmente da situazioni ordinarie, o comunque riconducibili ad una sfera “razionale”, agli incubi più spaventosi.

Pur non discostandosi sensibilmente, come temi, dalle classiche storie di fantasmi e demoni a cui il cinema orientale (e i suoi emuli occidentali) ci hanno negli ultimi anni abituato, il film di Shiraishi riesce ad essere originale, convincente, e, soprattutto, assolutamente terrificante.

Sottotitoli su Asianworld.

Collegamenti:

Scheda IMDb

Trailer

Cinema in pillole, #1

Visto che sono già tanto puntuale nel rispettare le scadenze settimanali e nel completare le cose lasciate incompiute, ho pensato fosse opportuno introdurre una nuova tipologia di post.
O forse no?
Vabbè, chissenefrega.
Visto che la locandina "visti di recente" là sotto so bene che non se la fila nessuno, cercherò di "fissare" le ultime visioni dedicando loro almeno qualche riga. Da non-esperto quale sono ovviamente vi saprò solo dare le mie impressioni e consigliare o meno la visione, non vi aspettate grandi elucubrazioni!


















I'm a Cyborg, but that's Ok
- di Park Chan-wook, Corea del Sud 2006
Genere: commedia
titolo originale: Ssaibogeujiman Gwaenchanha

Young-goon dopo un tentativo di suicidio (o un incidente?) finisce in un manicomio. E' convinta di essere un cyborg, parla coi distributori automatici e si nutre leccando le batterie. Qui incontrerà Park Il-sun, un ragazzo che pare avere uno strano "potere", ovvero la capacità di "rubare" una particolare qualità di una persona tramite un singolare processo di trasferimento.
I'm a Cyborg, but that's Ok è una commedia atipica, altamente visionaria e per certi versi coraggiosa (in fondo si parla di malati di mente) che pur apparendo a volte il classico "esercizio di stile" riesce a divertire e pure a commuovere.
Merita comunque, senza dubbio alcuno, una visione.

















A Time to Love - di Huo Jianqi, Cina 2005
Genere: drammatico, sentimentale
titolo originale: Qĺngrén jié

A Time to Love narra la storia di Hou Jia e Qu Ran, un ragazzo e una ragazza amici d'infanzia il cui legame col tempo diventa sempre più forte, fino a dar vita all'amore. I genitori delle rispettive famiglie però si oppongono fermamente al loro rapporto: la madre di Hou Jia, costretta su una sedia a rotelle, accusa il padre di Qu Ran di aver ingiustamente denunciato suo marito al partito, portandolo al suicidio. La vicenda risale a quando Hou Jia e Qu Ran erano bambini.
I due si trovano quindi a vivere una personale versione del dramma di Romeo e Giulietta, costretti a pagare le conseguenze del fardello dei genitori e a bruciare lentamente per una passione impossibile.
Si rivedranno dopo anni, ma potrà mai essere tutto come prima?
...
La storia potrebbe sembrare anche banale, ma Huo Jianqi, forte di una regia solida e di attori eccezionali (in particolare Zhao Wei-Qu Ran), confeziona un film toccante. La storia d'amore dei due protagonisti, pur rimanendo su toni umili, modesti, quasi rassegnati, acquisisce a tratti una grande forza drammatica che le permette di uscire dal piano della grigia quotidianità in cui è calata per colorarsi dei sentimenti più puri e ideali.
Ora non vorrei dover dire "si perde un po' nel finale", ma purtroppo mi tocca: nella parte finale tutta questa sublime intensità il regista cerca disperatamente di recuperarla, ma senza riuscirci del tutto. A ben pensarci potrebbe anche essere una scelta, ma comunque troppo poco chiara.
A Time to Love è comunque un film più che valido, in grado di raccontare una profonda storia d'amore senza risultare stucchevole e anzi regalando dei momenti davvero intensi.