domenica 28 ottobre 2007

Playlist BI-settimanale (14.10 - 27.10)

Recupero! Recupero! Ecco qua la playlist comprensiva degli ascolti delle ultime due settimane (pant). Da oggi sperimento pure dei presuntuosissimi voti decimali, quindi attenzione.....












The Shins - Chutes too Narrow [SubPop 2003]

Questo è l'indie pop che più mi piace. Arrangiamenti originali, melodie superlative ed esecuzione impeccabile. I pezzi sono potenti, tremendamente catchy dalla prima all'ultima nota, mai scontati. Rispetto al precedente (splendido) "Oh, Inverted World" si percepisce un certo ispessimento dei suoni, decisamente più high fidelity, e una maggior compattezza formale.
La copertina è tra le più brutte della storia, ma per questa volta gliela perdoniamo.

Voto: 7,5/10

Genere: indie-pop












Logh - Every Time a Bell Rings an Angel Gets His Wings [Bad Taste 2002]

Della serie "non mi ricordo dove ne ho sentito parlare, nè quando e come li ho recuperati". I Logh sono un gruppo svedese che si rifà alle classiche sonorità post-rock di Mogwai e giù di lì. I pezzi, molto delicati e improntati ad un'ottima sensibilità melodica, tracciano atmosfere eteree, a tratti impalpabili. In più di un'occasione, sarà il cantato, mi hanno ricordato i Death Cab for Cutie nei loro momenti più meditativi - certo con una punta di classe in meno.

Voto: 6,3/10

Genere: post-rock












Ghost - In Stormy Nights [Drag City 2007]

Voto: 7,0/10

Genere: psychedelic rock












The Mahavishnu Orchestra with John McLaughlin - The Inner Mounting Flame [Sony 1971]

Questo è un discone. Fusion, Progressive, Jazz-Rock, un John McLaughlin in stato di grazia. Al di là dell'impressionante abilità dei musicisti, The Inner Mounting Flame è un album semplicemente imponente, in cui gli intrecci e gli scambi tra i vari strumenti creano un tessuto vitale pulsante, in continua evoluzione, tra spiazzanti cambi di tempo e d'atmosfera che ricordano molto da vicino certe impervie escursioni strumentali (e questo album lo è per intero) dei contemporanei Gentle Giant. Una costante attenzione per la progressione melodica rende il tutto semplicemente entusiasmante.

Voto 9,2/10

Genere: progressive, fusion, strumentale












Helios - Eingya [Type rec. 2006]

Helios, al secolo Keith Kenniff, è un artista americano dedito alla musica ambient-elettroacustica, alla quale predilige un approccio sempre molto "emozionale".
Non c'entra niente, ma trovo questa copertina incredibilmente poetica.

Voto: 6,7/10

Genere: indietronica












Deaf Center - Pale Ravine [Type rec. 2005]

La tipologia di proposta di questo duo norvegese non è, sulla carta, troppo lontana da quella del disco sopra. Tuttavia qua siamo su terreni molto più "classici", in questo senso più limitrofi a quelli calcati da Max Richter: una musica elettroacustica che fonde ambient, elettronica, musica classica e musica concreta. Le atmosfere qui sono ancora più malinconiche, più oniriche, come a descrivere un paesaggio che si trova tra la luce e le tenebre, tra il sonno e la veglia. Un paesaggio sconosciuto che un pò spaventa, ma che in fondo trasmette una grandissima ed incomprensibile nostalgia.

Voto: 7,0/10

Genere: dark ambient, elettronica












Red House Painters - Down Colorful Hill [4AD 1992]

Down Colorful Hill è, prima ancora che un capolavoro assoluto, un viaggio dentro noi stessi.
A livello esteriore quella dei Red House Painters è una musica semplice, scarna, dall'incedere lento, quasi stanco. Il cantato di Mark Kozelek è pacato, non ci sono improvvisi cambi di registro o grandi punte espressive. Eppure nell'insieme questa musica, e nello specifico questo disco, riesce a trasmettere un senso di tristezza quasi inspiegabile, a toccare delle corde che sono dentro ognuno di noi in modo del tutto magico. E prima ancora di avere letto i bellissimi testi delle canzoni, veniamo assorbiti da una calda ed irresistibile malinconia, a cui non ci si può che abbandonare.
L'ho detto prima e lo ripeto: capolavoro assoluto.

Voto: 9,4/10

Genere: rock, slowcore












Asobi Seksu - Citrus [Friendly Fire 2006]

"Asobi Seksu" è giapponese, e nella nostra lingua suonerebbe più o meno come "sesso spensierato". Musicalmente, il gruppo riesce nella fenomenale impresa di (ri)definire in modo concreto e credibile il genere shoegaze oggi, sfornando un disco incredibilmente valido, in cui il modello My Bloody Valentine è ovunque chiarissimo, eppure reinterpretato e riproposto in modo fresco ed attuale.
La leader del gruppo, Yuki Chikudate, canta alternativamente in inglese e giapponese.

Voto: 7,1/10

Genere: dream-pop, shoegaze












Directions in Music - s/t [Thrill Jockey 1996]

Voto: 7,0/10

Genere: post-rock, strumentale















Tommy Heavenly6 - Heavy Starry Heavenly [Sony Music Japan 2007]

Secondo album per la j-rockettara Tomoko Kawase, in arte Tommy Heavenly6. La formula è la stessa, chitarroni e atmosfere tra il gotico e l'ultrapop, e va da sé che io l'adoro.

Voto: 7,0/10

Genere: j-pop, j-rock

venerdì 19 ottobre 2007

Avalon, l'illusione della realtà

Per un appassionato di animazione Mamoru Oshii è una conoscenza imprescindibile. Il suo Ghost in the Shell del 1995, oltre ad avere segnato l'inizio di una nuova era nell'utilizzo della computer grafica in animazione, andrebbe messo per l'importanza rivestita nel genere cyberpunk alla pari di un cult-movie come Blade Runner.
Gli altri suoi lavori, per quanto meno blasonati di questa vera e propria pietra miliare, definiscono comunque anch'essi una concezione e un utilizzo dell'animazione molto seri, connotati da una forte drammaticità che quasi mai lascia spazio a toni leggeri o all'umorismo. Le storie di Oshii sono crude, private di qualunque fronzolo, e i drammi presentati per quello che sono, senza divagazioni.
Ne sono un esempio i film Patlabor 1 e 2, lo è in maniera quasi brutale Jin-Roh (in cui Oshii è sceneggiatore), come lo è il medometraggio Blood - The Last Vampire (suo il soggetto).
In questo senso Oshii contribuisce in maniera eclatante a liberare il genere "animazione" da una reputazione che, soprattutto in Occidente, non gli permette di accostarsi con piena dignità al "cinema".



E' dunque con una buona dose di curiosità che mi sono avvicinato a questo Avalon, film "in carne ed ossa" che Oshii gira in Polonia nel 2001 avvalendosi di attori europei.
Avalon è un gioco di guerra simulata, in cui i giocatori si connettono tramite un'interfaccia visivo/neurale ad un computer centrale che riproduce campi di battaglia, armi, nemici, missioni da affrontare in solitaria o formando dei gruppi. Giocare ad Avalon comporta un alto rischio, sia perchè si tratta di un gioco illegale, sia perchè esiste la possibilità che la mente del giocatore sviluppi una dipendenza e resti intrappolata nel gioco, lasciandone il corpo in stato vegetativo.
Questi giocatori diventano così degli "unreturned", dei "non ritornati".
Tuttavia giocare ad Avalon per alcuni costituisce addirittura una fonte di sostentamento, in quanto ad ogni missione completata, ed in base al punteggio ottenuto, si ha diritto ad una ricompensa.
Alla base del film vi è dunque un tema già distintivo di Ghost in the Shell: l'interfaccia uomo-macchina, e la dicotomia tra "sè" reale e "sè" in quanto proiezione del sè reale nella macchina, o nella rete.




Un altro tema analogo riguarda la percezione della realtà: quanto possiamo considerare "reale" quello che vediamo? In fondo si tratta sempre di impulsi ricevuti dalle nostre terminazioni nervose, gli stessi che possiamo ricevere da una macchina. E allora, se dal nostro cervello non sono distinguibili, quale dei due stati gode di un maggior grado di realtà?
La nostra protagonista, Ash, è una giocatrice a tempo pieno; non ha amici, non ha vita sociale, la sua vita è completamente assorbita da Avalon. Col tempo nel gioco si è guadagnata la fama di giocatrice solitaria, e di migliore della classe A.
Tuttavia qualcosa inizia a cambiare quando fa la sua comparsa un misterioso giocatore che sembra essere più in gamba di lei; il passato di Ash torna a galla, insieme ad alcune strane leggende circa il mondo virtuale di Avalon...



Dal punto di vista estetico Avalon mostra un mondo buio e opprimente, in cui i colori sono soppressi a favore di una quasi monocromia che oscilla tra il seppia (nelle parti all'interno del gioco) e il grigio (nelle parti al di fuori di esso).
La storia è affrontata in modo quasi distaccato, i protagonisti non mostrano alcuno slancio che lasci trasparire il desiderio di riappropriarsi di un'umanità perduta. I dialoghi sono ridotti al minimo indispensabile, non c'è il più piccolo spazio per le facili emozioni. Oshii si pone orgogliosamente ad anni luce da qualunque tentazione hollywoodiana.

Avalon è un film riuscito per quanto riguarda la creazione di un mondo immaginario affascinante, e nel mostrare il senso ambiguo della definizione di "realtà".
Pecca però di un ritmo talvolta esageratamente lento, dando uno spazio irrisorio alle scene d'azione e di combattimento, che sarebbe lecito aspettarsi più corpose, a favore di lunghi momenti interlocutori o riflessivi. Nel complesso la visione risulta piuttosto pesante.
E' comunque una buona prova per Oshii, certamente un film fuori dal comune per più di un motivo, e anche solo per questo meritevole di esser visto.

Collegamenti:

Trailer.


domenica 14 ottobre 2007

Silent Hill - gli incubi prendono forma sul grande schermo

Già da un po' sapevo di questo film, risalente alla prima metà del 2006. Tuttavia, sulla scorta della delusione causatami dalla oltremodo scialba (a mio avviso) rivisitazione filmica dell'altro caposaldo del genere Survival Horror, Resident Evil, non nutrivo grosse aspettative. Soprattutto vista la profonda adorazione che ho per il terzo capitolo della serie di Silent Hill (l'unico che ho giocato, visto che il primo non l'ho mai finito e il secondo chissà perché mi mandava in crash il sistema).
Invece posso constatare che non solo mi sono dovuto ricredere sulla mia diffidenza, ma che addirittura Silent Hill ha superato di gran lunga le mie speranze.

Andiamo con ordine.

Sharon è una bambina che soffre di sonnambulismo, e durante le sue fughe notturne ripete in continuazione un nome, il nome di una città: Silent Hill.
I genitori adottivi sono alla disperazione, la bambina non risponde alle cure farmacologiche, e gli attacchi diventano sempre più gravi e frequenti. La madre, Rose, decide di intraprendere con la figlia un viaggio verso la città che la bambina nomina durante gli episodi di sonnambulismo, a dispetto del parere contrario del marito; crede che là si nasconda il mistero alla base della malattia di sua figlia.
In una notte piovosa Rose e Sharon giungono a Silent Hill, città cancellata dalle mappe e dal passato oscuro; ed ha inizio l'incubo.















Perchè mi è piaciuto dunque Silent Hill? Perchè a differenza del fratello (povero) Resident Evil non sfrutta un marchio vincente in ambito ludico per sfornare il solito action movie dozzinale nè carne nè pesce. Il film interpretato dalla bella Mila Jovovich, per carità, è anche godibile, ma non ha assolutamente nulla dell'atmosfera claustrofobica e plumbea dell'originale videogame; risulta peraltro evidente che gli sforzi degli sviluppatori non si siano diretti in quel senso, quanto piuttosto nel creare un prodotto dal facile riscontro di botteghino.
Silent Hill invece è stato diretto da un vero appassionato della serie (Cristophe Gans), e la differenza si vede.
L'intento di ricreare il più possibile l'atmosfera maligna del gioco è evidente sin dai primi fotogrammi, accompagnati dalla spaventosa colonna sonora del primo Silent Hill. Durante tutto il film peraltro gli appassionati del videogioco non potranno non riconoscerne le originali sinistre sonorità, mantenute in maniera davvero lodevole.
Altre cose rese alla perfezione sono le locations esterne invase dalla nebbia, le orrende creature semi umane che infestano la città, il passaggio in tempo reale dalla realtà all'incubo (Silent Hill 3 docet).
A questi elementi si aggiunge una storia che, per quanto piuttosto diversa da quella della saga, riesce a coinvolgere e rendere partecipe lo spettatore di un vero e proprio incubo ad occhi aperti. Complice una forte dose di gore puro, con scene sadiche e truculente che sembrano avere un certo debito con la saga di Hellraiser, e la ricerca di tutti quegli elementi visuali abnormi che hanno contribuito a rendere la serie di SH unica nel suo genere.












Silent Hill è la città maledetta, la manifestazione tangibile di un odio tanto forte da modificare la realtà, da creare una nuova dimensione di terrore.
Non c'è salvezza, nè facili redenzioni per i protagonisti di Silent Hill: il male può essere sopito, ma non sarà mai definitivamente eliminato.
Perché alberga nei nostri cuori.

Un film decisamente - e inaspettatamente - valido, e per gli appassionati della saga davvero un must see.


Collegamenti:

Trailer.

Sito ufficiale.

Silent Hill 3, il fascino degli incubi

sabato 13 ottobre 2007

Playlist settimanale (07.10 - 13.10)

E andiamo avanti con le playlist, sperando nei prossimi giorni di trovare del tempo per mettere giù qualcosina di più sostanzioso ...



Ministry - The Last Sucker [Megaforce 2007]

I tempi di The Land of Rape and Honey o The Mind is a Terrible Thing to Taste, veri e propri manifesti dell'industrial metal, sono ormai lontani. I Ministry, controversa (per scelta) creatura di Al Jourgensen, dopo ventiquattro anni di attività e undici album in studio giungono a quello che è, a detta dello stesso poliedrico frontman, il capitolo conclusivo di una carriera all'insegna del connubio fra sonorità industriali, heavy metal, elettronica, campionamenti e messaggi politici.
E questo The Last Sucker prosegue e conclude il discorso iniziato con Houses of the Molè del 2004: l'attacco più feroce contro il presidente degli USA G. W. Bush.
Negli anni lo stile dei Ministry è andato ovviamente cambiando; in particolare negli ultimi dischi il sound si è spostato sempre di più verso il metal vero e proprio, abbandonando certe ritmiche industrial ossessive.
The Last Sucker in questo senso non propone nulla di nuovo, se non la formula dei due dischi precedenti. Tuttavia bisogna dire che i pezzi legnano che è un piacere, mettendo insieme una serie di riff spaccaossa e ritmiche marziali di sicuro impatto. Basti sentire l'opener "Let's Go", una "painkiller" semplificata e marcia fino al midollo. Qua e là spuntano i soliti campionamenti, i sinistri proclami di George W., mentre è onnipresente l'ormai storico cantato ultra filtrato di Jourgensen.
Assai particolare e sopra le righe la traccia 9, "Die in a Crash"; tanto melodica da sembrare un pezzo punk, nel ritornello sfodera un organetto decisamente malato.
Gustosa la cover di "Roadhouse Blues" dei Doors.

Un album discreto insomma, a chiusura di una carriera ultra ventennale che conta, fra i tanti, dei dischi semplicemente enormi.

Voto:6,5/10

Genere: Industrial Metal




Ai Otsuka - Love Piece [Avex Trax 2007]

Niente da fare, ci sono decisamente rimasto sotto. Questa settimana non è passato un giorno senza che ascoltassi il nuovissimo album di Ai Otsuka, o perlomeno i singoli da esso estratti.
In questo Love Piece, tra motivetti zuccherosi e romantiche ballate, la signorina Otsuka dimostra di essere anche maturata. Soprattutto nell'uso della voce, non sempre così "infantile" come nei primi lavori - per quanto a me piacesse anche lì -, ma anche nella scelta dei pezzi. Singoli come "Peach" o "Frienger" dimostrano in questo senso un passo avanti rispetto a pezzi come "Sakuranbo" o "Happy Days", che forse proprio per quella esagerata allegria ed ottimismo che manifestavano si precludevano una certa fetta di ascoltatori.
Peach è una splendida canzone dal tema estivo, al solito condita da melodie curatissime alla cui immediata memorizzazione è impossibile sfuggire. Frienger è anch'esso uno strepitoso pezzo pop, eppure non così diretto o immediato come sarebbe lecito aspettarsi; lo dimostra il fatto che le sue vendite siano state piuttosto basse. Quanto a me, è probabilmente il singolo che preferisco fino ad ora.

Se lo ascoltate e vi fa schifo, non prendetevela con me; come ho già detto qualche post fa, su questa musica non so essere obiettivo e in realtà non mi frega di esserlo. Soprattutto in questo caso.
I'm addicted to Ai.


Voto: 7,5/10

Genere: Jpop




Anoice - Remmings [Important Records 2006]

Gli Anoice sono un sestetto giapponese fautore di una splendida e personale (re)interpretazione del post-rock, in una maniera che ricorda molto da vicino i Sigur Rós, eppur con esiti diversi.
Questo breve (troppo) "Remmings" alterna dei brevi e riuscitissimi pezzi atmosferici (titolati untitled I, II e via dicendo, sui quali non mi soffermo) a quattro pezzi più "strutturati".
Aspirin Music è un pezzo che si regge su un continuo e pulsante giro di basso (che ha un non so che di trip-hop), sul quale si strutturano violini, pianoforte e chitarre, a creare un quadro sospeso tra il sogno e la realtà, la cui conclusione è annunciata dal rullo dei tamburi.
Kyoto nasce come un dialogo fra pianoforte e chitarra elettrica arpeggiata, dalle tinte piuttosto tese e gravi. Anche qui subentra il violino, ma è sempre il pianoforte a dirigere il pezzo.
E veniamo ai due veri pezzi forti di questo splendido disco.
Liange è in assoluto il pezzo più bello dell'album, nonché uno dei più belli che abbia avuto la fortuna di sentire ultimamente; il violino tesse insieme al pianoforte una melodia in cui l'oriente si percepisce sulla pelle, tanto bella e malinconica che sembra quasi di trovarsi all'ascolto di una colonna sonora del grande Joe Hisaishi. Un pezzo da 10 e lode e da pelle d'oca.
E per chiudere The Three-Days Blow. Indubbiamente l'altro pezzo "importante" del disco.
Una melodia discendente tessuta da arpeggi di chitarra e violino; una ricetta semplice eppure di grande impatto. Ed è proprio la parte di violino ad intensificarsi, a suonare una melodia sempre più piena, mentre la base piano piano cresce, aggiungendo il piano, il basso e le percussioni, l'organo (!!!).

Tra le migliori uscite del 2006.

Voto: 8,0/10

Genere: post-rock




65DaysOfStatic - The Fall of Math [Monotreme Rec. 2004]

Questo ancora lo devo assimilare per bene, tuttavia posso già dire che siamo su uno dei miei terreni preferiti: post-rock strumentale, shoegaze o comunque atmosfere dreamy, inserti elettronici alla Aphex Twin.
Una sorta di God is an Astronaut o Explosions in the Sky in versione "acida".
Da approfondire, intanto i primi ascolti sono decisamente positivi.

Voto: 7/10

Genere: post-rock

domenica 7 ottobre 2007

Playlist settimanale (30.09 - 06.10)

Poca roba questa settimana, tra lavoro e prove non è che resti mai molto tempo ...!
Compenso allungando un pochetto le recensioni.











Max Richter - Memoryhouse [Late Junction 2002]

Dopo l'innamoramento per "The Blue Notebooks", che fare se non andarsi a cercare il resto?
Memoryhouse è il primo album "solista" di Richter, con la BBC Orchestra. A me che mi aspettavo qualcosa di simile al successivo "The Blue Notebooks", si è presentato un lavoro molto più marcatamente "classico", in cui emergono le influenze dallo stesso Richter dichiarate: Mahler, Bach, Messaien, Beethoven. Anche l'uso dell'elettronica, come dei suoni "reali" è molto limitato, a favore di un incredibile lavoro di arrangiamento orchestrale.
Memoryhouse è un viaggio immaginario negli eventi del secolo scorso, in cui Richter dipinge scenari malinconici, fortemente espressivi, raggiungendo dei veri e propri culmini di pathos in pezzi come "November", "Last Days" o la quasi commovente "Maria, the poet (1913)".
L'opera presenta un tema ricorrente, che viene ripreso e presentato in numerose variazioni.
Max Richter riesce a dare alla musica classica un'impronta molto personale, emozionale ed immaginifica.

Grazie a LoriVarney per la segnalazione.

Voto: 7,5/10

Genere: post-classical, ambient













Ai Otsuka - Ai Am Best [Avex Trax 2007]


Ai Otsuka è una giovane cantante e pianista pop/rock di Osaka, Giappone.
Questo "Ai am best" raccoglie tutti i suoi maggiori successi, a partire dalla mega-hit "Sakuranbo", contenuta nel primo album "Love Punch": un ritornello ultra melodico, con ritmo in controtempo (tipo ska, per intenderci), un vero tormentone che in patria è rimasto in classifica per oltre 101 settimane (!).

La musica di Ai Otsuka presenta il lato più scanzonato e spensierato del japanese pop: i motivi entrano subito in testa, i pezzi sono molto ritmati (oltre che suonati da ottimi musicisti) e dalla stragrande maggioranza di essi traspare una grande allegria e gioia di vivere. A questi pezzi si alternano splendide ballate, tra cui spicca "Daisuki dayo", dal secondo album "Love Jam".
Molto particolare e riconoscibile il cantato di Ai, la cui voce è acuta, in alcuni casi quasi infantile; anche questo contribuisce ad accrescere l'atmosfera spensierata delle sue canzoni. Nei pezzi più lenti e "seri" invece dimostra di avere una gran voce, e di saperla usare in modo molto espressivo.
Amore, allegria e buoni sentimenti: ecco la musica di Ai Otsuka, per quanto mi riguarda una ricetta assolutamente terapeutica.

Video:

Sakuranbo - Happy Days - Planetarium

Voto: non quantificabile, la amo.

Genere: Jpop