domenica 2 novembre 2008

Eureka, l'incomunicabilità tra gli esseri umani

















Titolo originale:
Yurîka

Produzione: Giappone, 2000
Genere: Drammatico
Regia: Shinji Aoyama
Sceneggiatura: Shinji Aoyama
Durata:
217'

Naoki e Kozue sono due studenti delle medie, fratello e sorella. Un giorno l'autobus con cui stanno tornando da scuola viene preso in ostaggio da un pazzo armato di pistola, che prima di essere abbattuto dalla polizia uccide tutti i passeggeri tranne l'autista e i due ragazzini. Seduti in fondo all'autobus, Kozue e Naoki vedono l'assassino freddato sotto i loro occhi, poco prima che riesca ad uccidere anche loro.











Quella a cui assistiamo nei momenti seguenti è la rapida disgregazione della famiglia di Naoki e Kozue, investita dal peso di avere due figli scampati alla strage e dalle insistenti maldicenze che sostengono che Kozue sia stata violentata dal rapitore. La madre abbandona così la famiglia e, poco dopo, il padre muore in un incidente d'auto. I due si trovano ad abitare da soli nella grande casa di famiglia, tormentati dalle telefonate dei parenti interessati esclusivamente a spartirsi i soldi dell'assicurazione sulla vita del padre.
Anche Makoto, l'autista dell'autobus, esce distrutto dall'esperienza: lascia il lavoro e inizia a vagabondare senza una meta precisa, finchè non decide di trasferirsi a vivere insieme a Naoki e Kozue, cercando di ridare un senso di normalità sia alla sua vita che alla loro. Dopo poco tempo si unisce a loro il cugino ventunenne dei ragazzi, Akihiko; inizialmente un "infiltrato" degli avidi parenti, entrerà ben presto di diritto nel singolare gruppo familiare. Un giorno Makoto compra un autobus e tutti insieme partono per un avventuroso e nelle intenzioni terapeutico viaggio on the road.
A complicare ulteriormente il quadro, diverse donne vengono trovate assassinate nei dintorni.











Eureka è un film complesso, fortemente analitico verso i suoi personaggi, che pure attraversa una invidiabile varietà di generi cinematografici quali il drammatico, il thriller, il road movie.
Il tema portante di Eureka è l'incapacità dei suoi personaggi di comunicare, fra di loro e con il mondo. Naoki e Kozue dal giorno dell'incidente non dicono una parola, per quanto i loro gesti e sguardi facciano percepire il forte legame che c'è tra di loro. Anche Makoto è un uomo di poche parole, in perenne bilico fra un innegabile carisma e una schiacciante debolezza. L'unico personaggio comunicativo ed estroverso è Akihiko, che però proprio per questo suo carattere così diverso dai suoi coinquilini prima, e compagni di viaggio poi, si trova nella medesima impossibilità di comunicare con loro .
Questa incomunicabilità è trasmessa in modo evidente dalla macchina da presa, i cui frequenti campi lunghi inscrivono i personaggi in inquadrature fisse in cui essi si muovono senza mai veramente incontrarsi. Solo in momenti ben specifici vediamo i loro volti in primo piano; per la maggior parte del tempo essi restano distanti, così come le loro emozioni. L'appiattimento dei rapporti umani è simbolizzato chiaramente anche nella scelta cromatica del quasi bianco e nero (sepiatone).











Il viaggio assume in Eureka una vera funzione di ricerca di sè stessi e delle proprie radici. Lo stesso Makoto dice, nel parcheggio dove anni prima lui, Kozue e Naoki avevano visto la morte in faccia: "volevo ripartire da qui". Sarà proprio grazie a questo viaggio che i protagonisti affronteranno le proprie paure e ognuno troverà, forse, il suo giusto posto.
Eureka è un film giapponese che più giapponese non si può. I momenti interlocutori, i lunghi silenzi, i gesti, gli sguardi, e tutte quelle cose che vengono lasciate all'interpretazione dello spettatore, insieme alla durata assai impegnativa (220'), ne fanno un pezzo di cinema di difficile fruizione per lo spettatore medio occidentale. Parallelamente Eureka è un film di una profondità rara, in cui nulla di ciò che vediamo è lasciato al caso, e tutto è al servizio della storia e, soprattutto, dei suoi personaggi. L'utilizzo fortemente espressivo e simbolico della macchina da presa e delle inquadrature è una cosa talmente caratteristica e funzionale in questo senso da risultare evidente anche ad uno spettatore non addetto ai lavori (quale il sottoscritto).
Eureka è un grande film, del tutto estraneo a superficiali logiche cinematografiche da grande pubblico, ma piuttosto teso ad esplorare le zone più nascoste dell'animo umano, quelle che definiscono il nostro rapporto con gli altri, con il mondo, con la nostra stessa esistenza.

domenica 28 settembre 2008

Cinema in pillole, # 8



















Spider Lilies

di Zero Chou, Taiwan 2007
Genere: drammatico
Titolo originale: Ci Qing

Takeko (Isabella Leong) ha uno studio di tatuaggi. Lei stessa ha un tatuaggio sul braccio rappresentante gli spider lilies, fiori che segnano il percorso dal mondo dei vivi a quello dei morti. Questo tatuaggio è l'unico legame rimastole con il defunto padre e con il fratello minore, affetto da disturbi psichici. Vive una vita solitaria divisa fra il lavoro e le attenzioni necessarie al fratello.
Jade (Rainie Yang) è una giovane ragazza che vive sola con l'anziana nonna. Sbarca il lunario lavorando per una chat a luci rosse, trasformando la sua spoglia camera nel set dei suoi spettacoli. Per quanto esteriormente più allegra e vitale, la sua esistenza non è meno solitaria di quella di Takeko. Un giorno Jade entra nello studio di Takeko e le chiede di tatuarle gli spider lilies, in ricordo del suo primo amore...
Spider Lilies racconta l'amore apparentemente impossibile fra queste due ragazze, una vittima dell'abbandono e di un amore totalizzante, l'altra schiava di un insopportabile senso di colpa. Anche se l'avvicinamento sembra irrealizzabile, e le catene che le legano al passato impossibili da spezzare, Jade e Takeko tendono inevitabilmente l'una all'altra, sospinte da una passione più grande di loro.
La narrazione insiste ovviamente sui due personaggi principali, sui loro drammi personali e sul loro tormento interiore, analizzando il loro rapporto anche attraverso graduali flashback che ne chiariscono il passato.
Caratterizzato da uno stile prevalentemente asciutto e freddo, Spider Lilies riesce comunque ad emozionare, grazie ad una buona regia - che non disdegna verso il finale escursioni visionarie alla David Lynch - e soprattutto all'ottima prova delle due attrici protagoniste.
Vincitore dell'Asian Film Festival come miglior film e del Teddy Award al Festival Internazionale di Berlino; nomination al Festival Internazionale di Bangkok.

[Trailer]


















My Sassy Girl
di Jae-young Kwak, Corea del Sud 2001
Genere: commedia, romantico
Titolo originale: Yeopgijeogin geunyeo

Gyeon-woo (Cha Tae-hyun) è uno svogliato e poco brillante studente delle superiori. Un giorno sulla banchina della metropolitana salva un ragazza visibilmente ubriaca (Jeon Ji-hyun) dall'essere travolta da un treno. Salito a bordo, assiste impotente alle gesta della misteriosa ragazza, che, in preda alla sbornia, vomita in testa ad un povero nonnetto, per poi crollare svenuta. Non prima di aver apostrofato Gyeon-woo "tesoro", cosa che agli occhi dei passeggeri lo obbliga ad assumersi la responsabilità della ragazza... Inizia così il rapporto fra Gyeon-woo e la ragazza (di cui durante il film non ci è dato sapere il nome), che oltre ad essere molto bella è anche una forte bevitrice, un'attaccabrighe, nonchè una compagna violenta e vendicativa. Al di là del suo atteggiamento da spaccona - a cui dobbiamo buona parte delle gag più riuscite del film - nasconde un animo fragile e segnato da una grave perdita.
Nonostante pecchi indubbiamente di prolissità e di certe sequenze non proprio funzionali (vedi la parte nel Luna Park) My Sassy Girl ha dalla sua una freschezza ed una esuberanza non comuni, nonchè una varietà di registri e situazioni assolutamente invidiabile. Se da un lato c'è da spassarsela nel seguire le angherie e i crudeli scherzetti a cui Gyeon-woo è continuamente sottoposto dalla sua "dolce" metà ("Vuoi morire? Tu prendi un caffè!" ), dall'altro assistiamo ad una sempre maggior attenzione per i personaggi e i sentimenti che si nascondono sotto la superficie. Attenzione sempre più evidente man mano che ci si avvicina alle ultime battute, in cui ci si rivela un inaspettato colpo di scena e i due affrontano finalmente con consapevolezza quello che provano l'uno per l'altra.
La visione di My Sassy Girl richiede insomma di lasciarsi un po' andare, di farsi trasportare dalla corrente; solo così si potrà gustare appieno quello che si nasconde dietro una facciata da frivola e disimpegnata commediola "pop" romantica, ovvero una riuscita ed intelligentemente bilanciata commistione fra toni comici, sentimentali e drammatici. Cose che in Occidente nel cinema "mainstream" ci sogniamo; tant'è che è in arrivo il solito, prevedibile e a naso ampiamente prescindibile remake hollywoodiano.

[Trailer]

giovedì 4 settembre 2008

Graveyard Girl

Di solito non adotto la formula del post "mordi e fuggi", ma in questo caso l'eccezione è più che giustificata. Graveyard Girl è il primo singolo tratto dal nuovo lavoro degli shoegazers francesi M83, "Saturdays = Youth".
Il video è un semplice quanto poetico spaccato di confusione adolescenziale, al cui centro c'è una ragazzina "diversa" ma proprio per questo molto più affascinante rispetto alla massa dei suoi coetanei. Allego il bellissimo testo.


Death is her boyfriend
She spits on summers and smiles to the night
She collects crowns made of black roses
But her heart is made of bubble gum
  Graveyard girl
Dark rags and red stars
She's the dirty witch of her high school
She worships Satan like a father
But dreams of a sister like Molly Ringwald
   "I'm gonna jump the walls and run
   I wonder if they'll miss me?
   I won't miss them.
   The cemetery is my home
   I want to be a part of it,
   Invisible even to the night.
   Then I'll read poetry to the stones
   Maybe one day I could be one of them...
   Wise and silent.
   Waiting for someone to love me.
   Waiting for someone to kiss me.
   I'm fifteen years old
   And I feel it's already too late to live.
   Don't you?"
I can't help my love
For graveyard girl.

domenica 31 agosto 2008

Cinema in pillole, #7

















Strawberry Shortcakes

di Hitoshi Yazaki, Giappone 2006
Genere: drammatico

Strawberry Shortcakes racconta la storia di quattro donne e delle loro solitudini nel grande vuoto metropolitano di Tokyo.
Satoko, che all'inizio vediamo - in una scena piuttosto delirante - mentre cerca disperatamente di trattenere il suo ragazzo che la sta lasciando, fa la centralinista all'"Heaven's Gate", un' agenzia di accompagnatrici.
Una delle accompagnatrici è Akiyo, che nasconde da anni il suo lavoro ad un vecchio compagno di scuola di cui è segretamente innamorata.
Toko dipinge illustrazioni per libri e riviste, ma la frustrazione derivante dalla scarsa considerazione che le sue opere ricevono a fronte delle notti insonni passate alla ricerca dell'ispirazione la spinge verso la bulimia.
Chihiro, che divide l'appartamento con lei, è un'impiegata con l'ossessione per il vero amore e il matrimonio; questo la porta a sopravvalutare una semplice avventura con un collega.
Queste quattro figure femminili lottano disperatamente contro le difficoltà e gli insuccessi delle loro vite, che sembrano negare loro non solo la felicità ma anche un semplice, vero contatto umano. La soluzione è come spesso accade più vicina di quanto non si creda, anche se forse è diversa da quella che si vorrebbe. Basta non perdere la speranza.
Il panorama ricorda molto da vicino quello di Tokyo.Sora di Hiroshi Ishikawa, ma qui c'è spazio anche per toni più leggeri o perlomeno ironici: Satoko trova un pietra per terra e, ritenendola un asteroide e in quanto tale segno di Dio, la idolatra come un dio vero e proprio, chiedendole quotidianamente di esaudire i suoi desideri - nella fattispecie, che qualcuno si innamori di lei.
Strawberry Shortcakes è uno di quei film che trasportano dentro di sè, lasciandoci pieni di pensieri e con il senso di aver vissuto una vera esperienza. Uno di quei film che spingono a riflettere su sé stessi e sulla vita.

[trailer]

















Hansel and Gretel
di Yim Pil-Sung, Corea del Sud 2007
Genere: fantasy/horror/drammatico

Eun-soo ha un incidente lungo una strada di campagna, e la sua auto esce di strada. Si risveglia di notte nel mezzo di una foresta; una strana bambina lo conduce fino ad una casa che sembra uscita da un libro sulle fate, dove vive coi genitori ed altri due bambini. Ben presto Eun-soo si renderà conto che, per quanti sforzi faccia, qualcosa gli impedisce di uscire dalla foresta e di abbandonare i bambini che vivono nella casa...
Una commistione fra toni fiabeschi, orrorifici e drammatici: questi i tratti distintivi della pellicola. Inevitabile il rimando alle cupe favole di Guillermo del Toro: mi riferisco in particolare a "Il Labirinto del Fauno", con cui Hansel and Gretel ha più di un punto in comune, dalla prospettiva infantile che vede l'immaginazione come unica possibile via di fuga da una realtà insostenibile, alla presentazione di due mondi, quello adulto e quello dei bambini, talmente distanti da risiedere su due differenti piani dell'esistenza.
Per quanto la storia evolva fino al finale senza troppe sorprese, Hansel and Gretel è un film che turba e, anche se con un filo di ruffianaggine di troppo, commuove. Formalmente ogni aspetto è molto curato, e del resto siamo davanti ad una produzione ad alto budget; molto bello fra l'altro il commento sonoro, che ben descrive l'aura fatata e sospesa di cui il film è pervaso.

[trailer]

















The Railroad
di Park Heung-Sik, Corea del Sud 2007
Genere: drammatico
Titolo originale: Gyeongui-seon

Man-Soo fa il macchinista sui treni della metropolitana a Seoul. Ogni tanto una ragazza si avvicina al suo treno e gli consegna una rivista e qualcosa da mangiare. Man-Soo se ne invaghisce, ma la ragazza non gli rivela il suo nome, limitandosi a sorridere mentre il treno riparte.
Hanna è una lettrice part time in un college privato. Intrattiene da tempo una relazione con un professore sposato.
Qualcosa fa crollare il già precario mondo di entrambi, che, da perfetti sconosciuti, si ritroveranno ad essere soli nello stesso posto: il capolinea di una linea ferroviaria, di notte ed in mezzo ad una forte nevicata. Dopo un esordio di bugie e diffidenze il comune, momentaneo destino porterà sincerità e comprensione, dando forse una nuova prospettiva alla vita di entrambi.
Il tutto a pochi passi dalla DMZ, la linea di demarcazione fra Corea del Nord e Corea del Sud; ovviamente non è un caso che alla separazione dei cuori e dei singoli esseri umani faccia da cornice la separazione di un'intera nazione.
Come spesso accade i sentimenti nascosti, le sofferenze patite in silenzio, commuovono infinitamente di più di qualunque melodramma hollywoodianamente ostentato, o spremuto fino all'ultima, inverosimile goccia.
Grazie ad un intreccio che non si lascia tentare, nel nome dello sfogo di sentimenti e passione proibite, da implausibilità assortite (e mi viene in mente il pasticciatissimo "Romance" di Moon Seung-wook) The Railroad riesce appieno anche nel bellissimo, accennato finale.
Vincitore del primo premio al Samsung Korea Film Fest 2008, Firenze.
Io, dal canto mio, non posso che raccomandarlo; film così intensi pur nella loro semplicità non capitano spesso.

[trailer]

domenica 17 agosto 2008

Playlist settimanale (10.08 - 16.08)

Ritorna l'ormai peregrina playlist, con un paio di novità e alcuni riascolti. Dedicata ai lettori più affezionati.
Dai, lo so che ci siete.












God is an Astronaut - No Return [Revive 2007]

L'ultimo singolo dei God is an Astronaut esce solo in download alla fine del 2007 ed è un brano di circa sette minuti, al solito interamente strumentale, al solito in bilico fra post-rock, elettronica ed ambient.
Come posso descrivere dunque questo nuovo brano della band irlandese?
Fra momenti di quiete e deflagrazioni sonore, ancora una volta la loro musica è un vortice verso le stelle, un'inarrestabile ascesa verso uno spazio ignoto eppure meraviglioso. Un viaggio da cui forse non ci sarà ritorno, ma per cui vale la pena rischiare.
Inutile dire che attendo spasmodicamente un nuovo album.

Voto: 7,2/10

Genere: post-rock

Ed ora un gruppo a cui sono particolarmente legato, sebbene non abbia ancora una conoscenza completa della loro discografia. Possiamo dire che per un certo periodo sono stati la perfetta colonna sonora della mia vita.
I Type O Negative sono una di quelle band che non suonano come nessun'altra. Vuoi perchè al sapore fortemente gotico della loro musica - che potremmo definire gothic rock o gothic metal - uniscono una profonda accuratezza nella scelta dei suoni e nella produzione. Vuoi perchè ai frequenti riff mutuati dai Black Sabbath sanno coniugare una vena melodica pop di derivazione Beatlesiana (e non me lo invento io, i Beatles sono un'ispirazione dichiarata). Vuoi perchè ad una concezione profondamente tragica e autodistruttiva della vita e dell'amore affiancano humour sottile e autoironia. Infine, vuoi per la figura controversa quanto carismatica del leader Peter Steele, la cui voce baritonale veicola liriche sofferte, depressive, nichiliste e spesso provocatorie o comunque le si legga "scomode".
Una rapida carrellata sui riascolti ed infine il disco nuovo (nuovo per me, è del 2007 ).












Type O Negative - Bloody Kisses [Roadrunner 1993]

Voto: 8,5/10












Type O Negative - October Rust [Roadrunner 1996]

Voto: 8,0/10












Type O Negative - Life is Killing Me [Roadrunner 2003]

Voto: 6,0/10












Type O Negative - Dead Again [Steamhammer 2007]

Dopo la delusione di "Life is Killing Me" temevo che la band di Steele avesse imboccato una parabola discendente senza ritorno, finendo schiava del proprio manierismo e incapace di ritrovare i colpi di genio che fecero grandi i primi dischi.
Felice di sbagliarmi. Giunto al termine del primo ascolto di Dead Again avevo in mente una cosa sola: riascoltarlo. E non una, ma due, tre, quattro volte e poi ancora.
Ritornano dagli esordi i pezzi lunghi in più "movimenti" (The Profits of Doom, These Three Things), che se da un lato possono far storcere il naso per l'eccessiva eterogeneità, dall'altro non possono che colpire per la frequenza di riff indovinati, di melodie riuscite. Così come ritornano gli episodi più veloci e simil thrash (Dead Again, Halloween in Heaven), che erano poi gli unici davvero convincenti del precedente lavoro.
Qua e là si avverte qualche lungaggine di troppo e una certa dose di riciclaggio, ma Dead Again rimane comunque un disco solido ed ispirato, secondo chi scrive il più riuscito dai tempi di October Rust. Un disco che sicuramente non uscirà dai miei ascolti tanto presto. E ai tempi del peer to peer, scusate, non è poco.

Voto: 7,5/10

Infine per la serie "amori di gioventù":












Def Leppard - Hysteria [Mercury 1987]

Come faccio a dare un voto ad un disco che da neanche adolescente ho ascoltato 5-6 volte al giorno per mesi e mesi? Non posso essere obiettivo. Comunque sia, è amore imperituro.

Genere: hard rock

mercoledì 30 luglio 2008

Cinema in pillole, #6

















This Charming Girl

di Lee Yoon-ki, Corea del Sud 2004
Genere: drammatico
Titolo originale: Yeoja, Jeong-Hye

Jeong-Hye è una ragazza di 29 anni. La sua è una vita solitaria e ripetitiva, che si divide tra il suo appartamento e il lavoro all'ufficio postale. Un trauma irrisolto nel suo passato l'ha allontanata dalle persone e dagli affetti, facendole preferire un'esistenza senza rischi e sofferenze. Ma qualcosa in lei comincia a cambiare quando realizza che non si può vivere in solitudine per sempre...
Ho trovato questo film estremamente riuscito e toccante, sebbene ad un primo sguardo possa sembrare anche eccessivamente composto e rigoroso. Lo studio di questo complesso ed affascinante personaggio regala invece grandi emozioni, limitandosi spesso a suggerirle piuttosto che servirle su di un piatto.
Attraverso una narrazione fatta di sguardi più che di dialoghi, siamo partecipi della combattuta evoluzione di Jeong-Hye, che cerca di vincere la sua paura di vivere e di distaccarsi da un passato che rischia di tenerla prigioniera per il resto della sua vita.
Il finale è un'esplosione silenziosa, eppure assordante per chi riesce a coglierla.
Buona parte del merito va all'eccezionale prova della bravissima e bellissima Kim Ji-Soo (Romance, Traces of Love), qui al suo esordio.
Splendido.

[trailer]

















Su-Ki-Da
di Hiroshi Ishikawa, Giappone 2005
Genere: drammatico

Quello che mi ha spinto alla visione di questo film è stata inizialmente la semplice presenza della mia amata Aoi Miyazaki, eppure ora sono convinto di aver visto un film assolutamente meraviglioso, come non mi succedeva da tanto tempo.
Su-Ki-Da (uno dei tanti modi per dire "Ti Amo") è una storia d'amore fatta di silenzi, incomprensioni, incapacità di comunicare i sentimenti. Il ritmo è lento, a tratti lentissimo, quasi surreale. Yu e Yosuke vivono in un mondo sospeso, in cui le giornate scorrono sempre uguali tra scuola e pomeriggi oziosi in riva al fiume. Il loro amore resta inespresso, ma il destino vuole che 17 anni dopo si incontrino di nuovo...
I brevi e radi dialoghi lasciano spazio al linguaggio del corpo, ai gesti e agli sguardi, da cui traspare con estrema chiarezza quello che i protagonisti non sanno dire a parole. Su-Ki-Da è un film di grandissima sensibilità, che indaga l'universo dei sentimenti e dell'amore in modo tanto discreto quanto intimo e, semplicemente, vero.
L'ennesima perla cinematografica che grazie alla nostra miope distribuzione non vedremo mai arrivare nel nostro paese.
Mi ha lasciato col groppo in gola, consigliato con tutto il cuore.

[trailer]

giovedì 10 luglio 2008

Cinema in pillole, #5

















The Red Shoes

di Kim Yong-gyun, Corea del Sud 2005
Genere: horror
Titolo originale: Bunhongsin

Una ragazza trova in metropolitana un paio di scarpette rosse (che poi non son rosse ma fucsia, ma vabbè, il titolo dice così); un'amica le vede e gliele ruba, salvo poco dopo incontrare una morte orribile. Le scarpette sembrano portare una maledizione mortale su chiunque le indossi...
Dopo il recente entusiasmo per Epitaph, mi sono buttato piuttosto fiducioso su questo horror coreano, che dal trailer pareva interessante e sanguinolento al punto giusto.
Purtroppo mi sono dovuto ricredere.
Nonostante parta bene, il film si dilunga incredibilmente su sequenze ed episodi inutili, tralasciando le cose davvero importanti. Ad esempio la vicenda che è alla base della maledizione, solo abbozzata e affidata più che all'indagine dei due protagonisti a flashback che non si sa da dove vengano e perchè; basti fare a riguardo un parallelo con The Ring, dove, anche se con diversa modalità, abbiamo sempre a che fare con un oggetto maledetto. Tutt'altro approccio, e tutt'altro risultato. Qui le cose sembra succedano perchè devono succedere.
The Red Shoes si ispira inoltre in maniera fin troppo evidente a classici del genere (Shining, Suspiria, e ovviamente Ringu/The Ring, con abbondanza dei soliti cloni di Sadako), tenta sul finire di stupire con l'ormai classico "plot twist", ma rimane quello che è: un film visivamente discreto ma nell'impianto registico e narrativo confuso, insipido, privo di mordente e soprattutto di personalità.
Nota negativa anche per la colonna sonora, inappropriatamente sopra le righe (l'organo liturgico non sta proprio bene con tutto) e ultra ripetitiva negli effetti sonori che sottolineano i colpi di scena.
Bocciato.


















Muoi, the Legend of a Portrait
di Kim Tae-kyeong, Corea del Sud/Vietnam 2007
Genere: horror

Yoon-hee è una giovane scrittrice coreana in difficoltà creativa. Il suo ultimo libro risale ormai a tre anni prima: una sorta di resoconto scandalistico sul suo gruppo di amici, ed in particolare sulla sua ex migliore amica Seo-yeon, bersaglio di calunnie e dicerie. Per il suo prossimo libro, basato sulla leggenda folkloristica vietnamita riguardante la "maledizione di Muoi", Yoon-hee ha bisogno proprio dell'aiuto di Seo-yeon, emigrata per l'appunto in Vietnam dove dipinge e assiste un professore universitario nelle sue ricerche sul folklore locale. Yoon-hee e Seo-yeon, sotto l'ombra di una malcelata tensione relativa al loro perduto rapporto, iniziano ad indagare sulla leggenda. 100 anni prima Muoi, amante rifiutata e sfigurata dalla rivale, si uccise per cercare vendetta sotto forma di spirito. Venne imprigionata in un ritratto, ma il sigillo durante la guerra fu infranto; si narra così che il 15 di ogni mese Muoi compia la sua vendetta...
Nella media degli horror made in Corea visti ultimamente Muoi fa tirare un discreto sospiro di sollievo. La regia infatti punta, più che sui facili spaventi, sulla costruzione di personaggi solidi e complessi e sull'imbastire una storia ricca di mistero. Sembra però addirittura eccedere nell'analizzare i tormentati rapporti tra le due protagoniste, tanto che a volte sembra di assistere ad un film drammatico più che ad un horror. Tutto sommato il risultato è buono, le protagoniste sono ben delineate (da sottolineare la presenza della splendida Cha Ye-ryeon, già in A Bloody Aria), il mistero avvince anche se non spaventa a morte, dal punto di vista formale siamo sui soliti standard sudcoreani, ovvero prossimi all'eccellenza. Ecco, sul finale si poteva davvero osare un po' di più, soprattutto avendo un girato tanto solido alle spalle. Comunque, in un panorama dove A Tale of Two Sisters e il recentissimo Epitaph sembrano destinati a rimanere per il momento casi isolati di genio orrorifico, ben vengano film come Muoi.

[trailer]

domenica 29 giugno 2008

Playlist settimanale (15.06 - 21.06)

So che avevate ormai perso le speranze (se mai ne avete avute), ma tra horror coreani e gangster movies made in Hong Kong nelle ultime settimane mi sono dedicato alla musica meno di quanto avrei dovuto. Ecco qui tre dischi emersi in maniera assolutamente fortuita dal limbo degli ascolti degli ultimi tempi. Cheers!













I Beyond Sensory Experience sono un duo dark-ambient svedese facente capo all'etichetta Cold Meat Industry. La dimensione sonora in cui ci troviamo proiettati durante l'ascolto di questo No Lights in our Eyes è buia e statica, popolata da ombre stanche e sussurranti, che parlano o addirittura singhiozzano nell'oscurità ("Hearts and Minds").
Musica oscura, suggestiva e a tratti francamente inquietante.

Voto: 7,0/10

Genere: dark ambient, minimal











Andrea Parker - Kiss my Arp [Mo' Wax 1999]

Acclamata dj inglese con studi di violoncello alle spalle, Andrea Parker pubblica il suo debutto full-lenght per l'etichetta Mo' Wax (la stessa di DJ Shadow) nel 1999. Kiss my Arp si apre con un pezzo, "The Unknown", classicamente trip-hop: beat rallentato, inquieti arrangiamenti di archi, basso circolare e pulsante. Le coordinate spaziano poi fino all'ambient-techno alla Aphex Twin ("Some Other Level") o a sonorità downtempo ("Elements of Style"); tuttavia anche attraverso diversi stili il sound mantiene una forte inquietudine e tensione di base.
Quella di Andrea Parker è elettronica colta e raffinata, per nulla semplice ed indubbiamente brillante. Questo è uno di quei dischi che metterei in mano a quelli che ritengono l'elettronica un genere inferiore se non addirittura indegno.

Voto: 7,5/10

Genere: elettronica, IDM, downtempo












Dot Allison - Exaltation of Larks [Cooking Vinyl 2007]

Dorothy abbandona senza rimpianti la sensuale elettronica di We Are Science per dare sfogo alla sua anima cantautorale; e lo fa attraverso dieci bellissimi ed introspettivi pezzi acustici tra il folk e il pop. L'eterea voce di Dot si esprime in tutta la sua grazia su melodie sospese e malinconiche, tra pregevoli e composti arrangiamenti, in un flusso dolcissimo di sentimenti e parole.

Voto: 6,7/10

Genere: songwriter, folk

Otep - The Ascension [Capitol Records 2007]

Quando nel 2002 uscì Sevas Tra per me e per molti fu subito amore. I riff spaccaossa, i bellissimi testi e le linee vocali rappate e sofferte di Otep Shamaya erano più di quanto si potesse sperare da un gruppo “nu-metal”, genere non certo nuovo o poco esplorato. Pezzi come "Battle Ready", "T.R.I.C.", "Sacrilege" divennero subito da antologia del metal alternativo, nu-metal o comunque lo si voglia chiamare. Gioielli di rabbia e disperazione come i "lenti" "My Confession", "Emtee", "Jonestown Tea" si distinsero invece semplicemente per la sbalorditiva interpretazione vocale. Tutto contribuì alla definizione di un sound smaccatamente personale e convincente.
Nel 2004 uscì House of Secrets, che proseguì il discorso iniziato nel 2002 accentuando nettamente la componente “metal” e rendendo il sound, se possibile, ancora più oscuro. Rimaniamo su livelli elevati, per quanto non paragonabili all’esordio.

E veniamo al presente: The Ascension è il terzo full-lenght per la band di Los Angeles, e le aspettative che nutrivo mettendomi all'ascolto non potevano che essere, ovviamente, elevate.
Lo dico subito, non mi ha entusiasmato. A mancare irreparabilmente sono proprio le perle che elencavo sopra, i guizzi di genio nel costruire le vocals, la sperimentazione: tutto suona molto ordinariamente "(nu)metal". Ci sono certo buone intuizioni e l’esecuzione è come sempre impeccabile, ma da questo gruppo ci si aspetta di più, non ci sono storie. A onor del vero una sperimentazione ci sarebbe anche, ma forse era meglio evitare: l'escursione pop di "Perfectly Flawed", per quanto piacevole e ben strutturata, nulla aggiunge al disco, rimanendo una incomprensibile mosca bianca. Stesso discorso per l'insipida e palesemente riempitiva cover di "Breed" dei Nirvana (ma, dico, perchè?!).
Le highlights tuttavia ci sono, e si chiamano "Confrontation" e "Ghostflowers".
Il primo è un devastante rap-metal (thanks God!) in cui Otep sbraita cose come "Defy the tyrants, don't be silent"; da una parte è esaltazione, dall’altra rimpianto che si tratti di una caso isolato.
Il secondo è uno spettacolare pezzo dal sapore orientaleggiante, forte di un impressionante lavoro di basso, di una batteria con la cassa a mille e di un chorus dalle liriche imponenti:
You will know me from the scars I bare
You will know me by the hate i swear
In definitiva se c'è una cosa che non si rimpiange davvero è la qualità dei testi, ma di certo questo non basta. Gli altri pezzi si aggirano tra il sufficiente, il discreto - è il caso di "Home Grown", che nel ritornello richiama i fasti del passato - e il dimenticabile - "Invisible" è un'altra sorta di ballata tra il melodico e l'incazzato che finisce col non essere né carne né pesce.
Tra alti e bassi la noia è in agguato, e sebbene l'adorazione per questo gruppo di per sè mi porterebbe ad essere clemente, non posso proprio andare oltre la sufficienza.

Voto: 6,0/10

Genere: (Nu) Metal

Tracklist:

1. Eet The Children
2. Crooked Spoons
3. Perfectly Flawed
4. Confrontation
5. Milk Of Regret
6. Noose & Nail
7. Ghostflowers
8. Breed
9. March Of The Martyrs
10. Invisible
11. Home Grown
12. Communion
13. Andrenochrome Dreams

Collegamenti:

sito ufficiale
anteprima su allmusic

mercoledì 11 giugno 2008

Epitaph, storie sospese fra la vita e la morte

















Titolo originale: Gidam

Produzione: Corea del Sud, 2007
Genere: Horror
Regia: Jeong Beom-sik, Jeong Sik
Sceneggiatura: Jeong Beom-sik, Jeong Sik
Durata:
98'

Corea del Sud, 1979: Park Jeong-nam ritrova un vecchio album di fotografie risalenti al 1942, quando era un giovane medico internista all’Anseng Hospital e la Corea era occupata dall’esercito giapponese. La sua mente ritorna a quattro giorni in cui fu testimone di eventi inspiegabili che segnarono la sua vita per sempre.

Il film racconta tre diversi episodi che si svolsero in quei giorni all’interno e nei pressi dell’ospedale.







Il primo riguarda direttamente il giovane Park Jeong-nam. Specializzando non troppo brillante, egli è tuttavia il protetto della direttrice dell’ospedale; tanto che presto ne sposerà la figlia, che non vede da quando era bambino, in un matrimonio combinato. Nel frattempo arriva in ospedale il cadavere di una giovane ragazza, morta suicida e rimasta intrappolata nel ghiaccio. Park Jeong-nam è di turno in obitorio e non resiste alla tentazione di vedere il viso della ragazza; la sua bellezza lo inquieta e lo rapisce, quasi che con lei ci fosse uno strano ed inspiegabile legame.







Il secondo episodio, precedente al primo cronologicamente, riguarda un bambina sopravvissuta miracolosamente ad un incidente in cui sono morti la madre e il patrigno. Giunta in ospedale la bimba, nonostante non riporti neanche un livido, soffre di afasia e di terribili incubi (?) in cui il fantasma della madre la tormenta.







Il terzo episodio, il più sanguinolento, ha a che fare con una serie di omicidi di soldati giapponesi; Kim In-yeong è la dottoressa incaricata delle autopsie. Il marito Kim Dong-won, anch’egli medico chirurgo, inizia ad avere dei sospetti sulla moglie, soprattutto da quando si è reso conto che essa non ha un’ombra…

A questo punto dovrebbe risultare chiaro come Epitaph sia tutt’altro che un film semplice o poco ambizioso. Tuttavia i registi, pur rischiando a tratti di esagerare coi ragionamenti e coi “plot twists” (e mi riferisco al terzo episodio), confezionano non solo un horror psicologico valido come non se ne vedono spesso, ma molto semplicemente un grande film.

L’ospedale è il setting ideale per queste tre storie di fantasmi: i corridoi angusti, l’illuminazione fioca e discontinua, l’isolamento dal resto del mondo. Le tre storie riescono ad essere tutte ugualmente appassionanti e cariche di tensione, unendo alle riuscitissime scene spaventose (alcune sono e resteranno tra le peggiori che ricordi) momenti di grande respiro poetico, consumati sul confine tra la vita e la morte. Più di una volta durante la visione sono stato colto dalla classica pelle d’oca, non solo per lo spavento, ma anche per l’atavica inquietudine mista ad attrazione generata da certi temi.







Il maggior pregio di Epitaph è quindi l’essere assolutamente vincente come film horror (spaventa) e l’offrire allo stesso tempo una trama complessa, ricca di spunti di riflessione “importanti”. Un risultato già portato a casa nel 2003 dal capolavoro A tale of Two Sisters di Kim Jee-Woon.

Dal punto di vista formale Epitaph è ineccepibile quando non formidabile (meravigliosa la sequenza crepuscolare nell'obitorio, ma ce ne sono molte altre), e si fregia di un’ottima, struggente colonna sonora. Bravi gli attori, tra cui spicca la rimarchevole interpretazione della piccola Ju Yeon Ko, protagonista del secondo episodio.

Nutrendo la solita scarsa fiducia nella lungimiranza dell'italiana distribuzione, consiglio di reperire Epitaph come immaginate e di munirvi dei sottotitoli che vi ho gentilmente tradotto (li trovate come sempre su Asianworld).

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Scheda IMDb

giovedì 5 giugno 2008

Cinema in pillole, #4

















D-War
di Hyung-Rae Shim, Corea del Sud 2007
Genere: fantascienza
Titolo alternativo: Dragon Wars

500 anni fa la figlia del signore di un villaggio in Corea, Narin, nasce con in sè il Yeo ui joo, capace di trasformare un serpente (Imoogi) in drago celeste. Haram e il suo maestro sono inviati dal paradiso per fare in modo che il Yeo ui joo vada, tramite il sacrificio della ragazza, all'Imoogi buono. Manco a dirlo sulle tracce del Yeo ui joo c'è pure un serpentone cattivo, tale Buraki, che allo scadere del ventesimo anno della ragazza attacca il villaggio col suo esercito. Haram e Narin, che nel frattempo si sono innamorati, non accettano il loro destino e si buttano da una rupe.
500 anni dopo la storia si ripete, solo che siamo a Los Angeles e al posto di Haram e Narin abbiamo le loro reincarnazioni.
Film coreano che punta chiaramente ad insidiare i blockbusters americani, questo D-War si presenta benino dal trailer, per rivelarsi in realtà una ciofeca indifendibile. Al di là di alcune discrete scene d'azione (che per un film del genere sono poi il minimo), trovo che D-War faccia acqua da tutte le parti.
I dialoghi oscillano fra il ridicolo e l'imbarazzante, l'approfondimento dei personaggi è pari a -10, la consequenzialità degli eventi a volte rasenta il paradossale. I personaggi compiono azioni e dicono cose che non hanno assolutamente senso nel mondo dei sani di mente; alcuni vengono addirittura ripetutamente abbandonati per poi risaltare fuori a caso (e guarda un po' sono pure di colore, viva i clichè), non c'è una sola scena che risollevi la storia dalla banalità più assoluta. Aggiungiamo verso il finale una blanda fotocopia di una famosa scena di The Lord of the Rings ed il gioco è fatto.
D-War va bene forse per un'oretta e mezza di svago, ma proprio niente di più e solo se non avete davvero di meglio da fare.
Anzi, se ci pensate qualcosa di meglio da fare lo trovate di sicuro.
Korea meets Hollywood? Se i risultati son questi, no grazie.

















Someone Behind You
di Oh Ki-hwan, Corea del Sud 2007
Genere: thriller/horror
Titolo alternativo: Two People
Titolo originale: Du saram-yida

Ka-In, studentessa delle superiori, è testimone del tentato omicidio della zia al di lei matrimonio, da parte del futuro marito; omicidio che viene portato a termine poche ore dopo in ospedale, da un'altra zia sorella della vittima. Il tutto senza apparente motivo. Ka-In assiste incredula a questa assurda ed insensata violenza; una maledizione sembra perseguitare lei e quelli che le stanno intorno, dando vita ad una epidemica follia omicida e spingendola a dubitare anche dei suoi cari ...
Che dire, se devo valutarlo esulando dal genere a cui appartiene è un film pieno di difetti, che riguardano soprattutto la sceneggiatura. La storia è sì intrigante, ma sviluppata in modo un po' confuso e conclusa in modo non del tutto soddisfacente.
Inoltre la protagonista ha sette vite come i gatti, cosa che dopo un po' diventa davvero forzata.
Se lo valutiamo invece come il film thriller/horror che è, Someone Behind You spacca letteralmente il culo - o potrei dire "centra in pieno il bersaglio", ma perchè rinunciare ad una delle mie espressioni preferite...
La tensione resta sempre su livelli altissimi, i colpi al cuore si sprecano, le uccisioni sono numerose e spesso efferate, e per finire alcune scene traboccano letteralmente di sangue; per gli appassionati insomma è un po' come essere al Luna Park.
Bravi gli attori, in particolare la protagonista Jin-seo Yun.

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lunedì 19 maggio 2008

Kuntilanak, l'uomo nero indonesiano

















Kuntilanak

di Rizal Mantovani, Indonesia 2006
Genere: horror
Titolo alternativo: The Chanting

Samantha, da poco orfana della madre e costretta a vivere col patrigno che la molesta, si trasferisce da Giacarta in una specie di ostello situato in periferia, al di là di un cimitero, dove vivono altri ragazzi e ragazze. Qui la padrona di casa le racconta una strana storia sul Kuntilanak, uno spirito che vive negli alberi e che può venire evocato nel nostro mondo grazie ad un'antica cantilena.
Dopo aver sentito la cantilena Samantha inizia a sentirsi strana, e durante una lite con un'aggressiva vicina di stanza entra in una specie di trance ed inizia ad intonare il canto del Kuntilanak; le persone intorno a lei cominciano a morire l'una dopo l'altra. Riuscirà Sam a liberarsi dalla maledizione che pare averla colpita?



Nonostante siamo sempre nell'ambito "fantasmi", questo film indonesiano riesce a trattare l'argomento in modo abbastanza interessante, insistendo sulla tradizionale leggenda del Kuntilanak (reale e radicata nel sud-est asiatico), evitando di abusare dell'effetto "balzo sulla sedia" e puntando piuttosto a costruire un senso di tensione "totale". Il commento sonoro è in questo senso fondamentale; credo anzi di non aver mai visto un film in cui la musica, soprattutto di stampo così sinistro ed inquietante, sia non solo quasi onnipresente, ma spesso oltremodo insistita anche in situazioni non orrorifiche. Non abbiamo quindi i classici momenti di finta serenità o neutri tipici di molti film horror: in Kuntilanak la tensione musicalmente indotta non scende praticamente mai. Scelta coraggiosa e che funziona.


Purtroppo il film comincia a perdere punti proprio quando si inizia a mostrare sempre più nel dettaglio il "mostro" o "fantasma" in questione, ricadendo nei soliti clichè visuali triti e ritriti. Peccato, perchè la storia riesce ad essere, fino ad un certo punto, piuttosto originale ed intrigante, e ben supportata anche da una buona fotografia.
Attori nella media, tra cui però spicca la bella Julie Estelle.
Esistono due seguiti che per il momento non riesco a reperire - a quanto ho capito in Indonesia Kuntilanak è un grosso successo di botteghino.

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Sottotitoli AW

domenica 11 maggio 2008

Cinema in pillole, #3

















A Bloody Aria
di Won Shin-Yeon, Corea del Sud 2006
Genere: thriller/drammatico
Titolo originale: Guta Yubalja Deul

Park Young-sun, professore di musica, e In-jeong, sua studentessa, sono di ritorno da un'audizione.
Dopo un diverbio con un poliziotto prendono una strada secondaria e fanno una sosta; il luogo tranquillo e isolato svela le vere intenzioni del professore, e In-jeong si dà alla fuga.
Ma il posto si rivela non essere deserto, e i due finiranno coinvolti in un vortice di violenza e depravazione che non avrebbero mai neanche potuto immaginare.
A Bloody Aria è - appunto - un film di una violenza estrema, violenza tanto fisica quanto psicologica. Il ribaltamento dei ruoli, da vittima a carnefice e poi ancora a vittima e via così potenzialmente all'infinito, diventa dunque inevitabile: finchè ci sarà qualcuno di più debole su cui sfogare la propria rabbia, la propria sofferenza, non ci sarà fine.
I personaggi di A Bloody Aria, schiavi di questo circolo vizioso, hanno ormai in sè ben poco di umano, come ben sintetizza l'amara, incredula considerazione di In-jeong : "Non sei nemmeno un cane... un cane non farebbe una cosa del genere."
L'unico personaggio realmente "umano" della pellicola non può che sentirsi sconcertata e fuori posto in mezzo a tanta barbarie.
In definitiva si tratta di un thriller tutt'altro che superficiale, che mostra il lato peggiore dell'essere umano e lo fa con una grande eleganza stilistica e attraverso degli ottimi attori.
Mi ha pienamente convinto.



















Vibrator
di Ryuichi Hiroki, Giappone 2003
Genere: drammatico
Titolo originale: Vibrator

Rei è una trentenne giornalista freelance che soffre di disturbi psichici e alimentari.
Vive completamente scollegata dal mondo e dagli altri esseri umani, preda delle voci nella sua testa e della paura che il contatto con le persone possa costituire un pericolo.
Mentre in un supermercatino compra degli alcoolici, entra un camionista biondo ossigenato con degli stivali da pescatore. Il cuore di Rei, tramutatosi in telefono cellulare, vibra. "Mi piace", pensa.
Comincia così il viaggio di Rei e di Okabe, due perfetti sconosciuti che, nel microcosmo costituito dalla cabina del tir, scopriranno la forza dell'umana comprensione.
Il film di Ryuichi Hiroki è fondamentalmente un inno di speranza nei sentimenti umani. Pur dilungandosi un po' troppo in dialoghi triviali Vibrator convince e commuove, senza aver la presunzione di fornire risposte o mostrare inverosimili catarsi.

I due attori sono eccezionali, in particolare Shinobu Terashima (Rei) che regala un'interpretazione strepitosa.

domenica 27 aprile 2008

Playlist settimanale (20.04 - 26.04)

Svanita ormai ogni pretesa di puntualità, mi limiterò a sciorinarvi in modo disorganico e del tutto istintivo alcuni dei dischi ascoltati nelle ultime settimane.
Yo!












The National - Boxer [Beggars Banquet 2007]

Rock oscuro ed emozionale quello dei The National. La voce di Matt Berninger è profonda, baritonale, gli intrecci di chitarra belli e ricercati (Mistaken for Strangers). Si passa da brani chiaramente guitar-driven ad altri in cui il pianoforte assume un ruolo principale (vedi l'opener Fake Empire), ad altri ancora semi acustici (Green Gloves).
Quello che traspare in modo evidente da ognuno di questi episodi è una fortissima malinconia, una tragicità senza veli.
L'altra cosa che traspare è pura classe.

Voto: 7,7/10

Genere: indie folk/rock











Stars - Set Yourself on Fire [Arts & Crafts 2005]

Set Yourself on Fire è un disco indie-pop, ma definirlo così pare decisamente riduttivo. C'è una tale varietà in questi tredici pezzi, un tale eclettismo nel saltare con estrema naturalezza da una sonorità all'altra calcando anche terreni molto diversi tra loro, che ci si rende subito conto di trovarsi di fronte a qualcosa di non comune.
Basti prendere ad esempio le prime due tracce. Your Ex-Lover is Dead dopo un breve incipit classicheggiante - che mi ha ricordato da vicino certi arrangiamenti di Sufjan Stevens - si tramuta in una splendida ballata-rock-emotiva come nei migliori Death Cab for Cutie, da vera pelle d'oca.
La seconda traccia, Set yourself on Fire, esprime invece la vocazione più esplicitamente pop degli Stars (grazie ad una irresistibile fusione basso-synth-batteria-archi), per poi sfumare in una lunga coda in cui basso, voce, pianoforte e feedback di chitarra compongono un momento etereo e suggestivo.
Proseguendo nell'ascolto il disco è pieno di esempi del genere.
Per concludere, di carne al fuoco in questo Set Yourself on Fire ce n'è tanta, di talento pure, e gli esiti pur in una tale disomogeneità sono davvero buoni se non ottimi.

Voto: 8,0/10

Genere: indie pop













Lush - Lovelife [4AD/Reprise 1996]

Anche questo entra di diritto nell'olimpo dei "gioielli misconosciuti". Chiaramente influenzati dal filone shoegaze/dream pop di My Bloody Valentine e Ride, i Lush ne accentuano la connotazione (power)pop arricchendosi di melodie accattivanti, cori e arrangiamenti curatissimi.
A partire dall'opener Ladykillers, Lovelife è un incredibile concentrato di potenziali hits, di ritornelli da urlo, di soluzioni melodiche a volte più convenzionali, a volte addirittura inusuali, eppure sempre irresistibili.

Voto: 7,9/10

Genere: dream pop












The Sword - Age of Winters [Kemado 2006]

Non avrei mai pensato che un disco così chiaramente derivativo, o comunque dalle così palesi influenze, potesse acchiapparmi a questo modo.
I texani The Sword pescano a piene mani dal riffing dei Black Sabbath e dai macigni stoner degli Sleep, alternando con sfuriate ai limiti del thrash metal, ma sempre con quella tipica distorsione satura e ruvida che scalda il cuore.
Un gustoso tuffo nel passato, che grazie ad un songwriting tutt'altro che ingenuo regala diversi momenti di pura esaltazione.

Voto: 7,2/10

Genere: doom metal, stoner