lunedì 28 gennaio 2008

Seirei No Moribito, il Guardiano dello Spirito Sacro

Era ormai un po’ di tempo che non guardavo una serie “full – lenght”, ovvero di 24-26 episodi. Un po’ per una concreta questione temporale: visionare un’opera simile nella sua completezza, calcolando una durata di 25 minuti ad episodio, significa trascorrere quasi undici ore di fronte allo schermo.
Ma basta lamentarsi e veniamo all’opera in questione.

Seirei No Moribito è una serie TV del 2007 diretta da Kenji Kamiyama e basata sui primi due volumi di una serie di romanzi fantasy dello scrittore Nahoko Uehashi. La realizzazione è affidata alla prestigiosa Production I.G., da sempre distintasi per l’eccellenza tecnica delle sue produzioni, a partire da lungometraggi come The End of Evangelion, Jin-Roh, Ghost in the Shell fino a serie animate come Ghost in the Shell: Stand Alone Complex (di cui lo stesso Kenji Kamiyama è regista) e Blood+.

Come il suo omologo cartaceo, la serie animata prende vita in un mondo tra l’epico e il fantasy, in cui coesistono guerrieri, sciamani, indovini, spiriti protettori e demoni, così come numerosi regni e i rispettivi imperatori.

Un breve accenno alla storia.

Balsa è una guerriera (nella serie ci si riferisce spesso a lei come “il lanciere”) che lavora come guardia del corpo. Dopo diversi anni decide di tornare a visitare l’impero di Yogo, ma appena dopo il suo arrivo assiste ad un terribile incidente: una carrozza perde il controllo su un ponte, un ragazzo viene sbalzato fuori e finisce in acqua. Utilizzando le sua abilità di guardia del corpo, Balsa riesce a salvare il giovane da una morte certa, salvo poi scoprire che egli altri non è se non il secondo principe della famiglia imperiale di Yogo, Chagum.

Viene rintracciata e condotta a palazzo per ricevere i dovuti ringraziamenti; qui la seconda imperatrice le svela che il figlio Chagum pare essere posseduto da uno spirito dell’acqua, e che questo ha determinato nell’imperatore la decisione di assassinarlo per evitare scandali che possano indebolire l’impero. Le chiede quindi di assumersi un oneroso incarico: scappare col principe e proteggerlo per il resto della sua vita in cambio di una enorme ricompensa.


Balsa accetta, accennando ad un voto che le impone di salvare otto vite, che contando quella di Chagum potrebbe considerarsi assolto. Comincia così il lungo e pericoloso viaggio dei due, braccati dagli scagnozzi imperiali e alle prese con la strana entità che sembra possedere il giovane …

Questo ovviamente non è che l’inizio, la storia si dipana e si complica attraverso i ventisei episodi, e non mancano colpi di scena così come flashback sul passato dei protagonisti.

Dal punto di vista strettamente tecnico Seirei No Moribito è assolutamente spettacolare. I fondali sono meravigliosamente disegnati, e le frequenti panoramiche su immense vallate verdeggianti e maestose montagne innevate riportano alla mente le epiche sequenze di “Princess Mononoke”, di cui in realtà un po’ ovunque si respira l’atmosfera. Il character design è maturo e realistico, l'animazione, fluida e di qualità costante per tutta la durata della serie, dà il meglio di sè nelle scene d'azione, che siano combattimenti o inseguimenti.

Seirei No Moribito è una serie di grande spessore, adulta e senza inutili fronzoli. In una serie simile non sarebbe strano ad esempio aspettarsi che, per “alzare gli ascolti”, la protagonista, femmina e per di più guerriera, si aggiri per il mondo in abiti succinti che ben si prestano ad ammiccamenti vari; invece Balsa veste come un normale guerriero, con una veste chiusa fin sotto il collo e lunga fino ai piedi. Certo, il suo fisico è statuario e dalle forme generose, ma questo ci viene solo lasciato intuire.

I personaggi sono belli e ben caratterizzati. Balsa è un’eroina che si è costruita un suo personale codice morale che segue rigidamente; agisce guidata da un forte senso di giustizia, è intelligente, carismatica e tagliente nell’eloquio – di cui fa un uso quanto mai parsimonioso. Per questi ed altri aspetti mi ha ricordato una versione “fantasy” del maggiore Motoko Kusanagi di Ghost in the Shell.


Per citarne un altro, il più gustoso è sicuramente quello dello Sciamano Torogai, una vecchia tanto saggia quanto scorbutica e maleducata; davvero esilarante, soprattutto inserita in una storia dalle tinte spesso fortemente drammatiche. In questo personaggio ritrovo un’altra, evidente ispirazione Miyazakiana nella forte somiglianza con la strega Yubaba de “La Città Incantata”.

Bellissima quanto epica infine la colonna sonora di Kenji Kawai, fatta di pezzi orchestrali mozzafiato che ben sottolineano in particolare le scene più drammatiche o d’azione.

La sigla iniziale (eh già, pur sempre di una serie si tratta) è un bel brano pop-rock dei famosissimi L'Arc~en~Ciel, intitolato “Shine”.

In definitiva Seirei no Moribito riesce a mantenere viva l’attenzione e la curiosità dello spettatore innanzitutto grazie ad una grande storia e ad una sapiente regia. Ogni episodio aggiunge nuovi elementi ed altri ne lascia in sospeso, fino ad arrivare alle ultime drammatiche battute e ad un finale assolutamente all’altezza, pienamente conclusivo e che ci lascia con un solo rimpianto: che tutto si sia ormai concluso.

A questo uniamo dei personaggi credibili, un mondo affascinante e fantastico ma mai “esagerato” e una realizzazione tecnica mozzafiato, ed otteniamo un prodotto abbondantemente sopra la media, dagli standard quasi cinematografici. Consigliatissimo.


Voto: 8,5/10


Collegamenti:

http://www.productionig.com/contents/works_sp/53_/index.html

http://www.moribito.com/

Trailer 1

Trailer 2

Sigla di apertura

domenica 20 gennaio 2008

Playlist semi riassuntiva al 19.01.08

Il mondo dei computer è bello finchè funziona tutto, ma le insidie sono sempre in agguato. Messo in chiaro una volta per tutte col mio pc chi è che comanda, torno quindi ad aggiornarvi sugli ascolti (perlomeno sui più importanti), cercando di recuperare il tempo perso.
Enjoy!












Mazzy Star - So Tonight that I Might See [Capitol 1993]

Questo disco è un piccolo mondo a parte. La musica si muove tra il folk, il dream-pop, lo sheogaze alla My Bloody Valentine, venature blues, e consistenti echi psichedelici. La voce di Hope Sandoval è timida, sommessa, di una dolcezza dirompente. E forse, al di là del bellissimo singolo "Fade into You", di una splendida ballata come "Five String Serenade" o del languido blues di "Wasted", sono proprio i brani in cui la connotazione psichedelica si fa più evidente a dare la vera e più sincera dimensione della musica dei Mazzy Star (nominalmente una band, ma di fatto progetto della cantante Hope Sandoval e del chitarrista David Roback): "Mary of Silence", "Into Dust" e soprattutto la title-track, una lunga ed avvolgente litania da ascoltare di notte davanti al fuoco, magari in mezzo al deserto.

Voto: 8,5 /10

Genere: dream-pop, shoegaze












PJ Harvey - Stories frome the City, Stories from the Sea [Island 2000]

Primo avvicinamento per il sottoscritto alla torbida rockeuse inglese con questo disco che, a quanto ho letto, è anche il suo più genuinamente "rock". Che dire, mi ha decisamente entusiasmato; dai pezzi traspare una passione e una sensualità fuori dal comune, nonchè una buona ispirazione melodica.

Voto: 7,5/10

Genere: songwriter, rock













Dot Allison - We Are Science [Mantra 2002]

Dorothy Allison è una cantante di Edinburgo che negli ultimi anni ha fatto parecchio parlare di sè nel mondo dell'elettronica "alternativa". Questo We Are Science è il secondo disco da solista. La sua musica è stata definita "trip-pop", e direi che l'etichetta è piuttosto azzeccata: i pezzi sono piacevoli ed orecchiabili, la maggior parte costruiti su basi elettroniche semplici, in cui il "beat" è molto presente ("We're only science"), insieme ai synth e al basso. Altri sono più vicini a pezzi rock "classici" ("Strung Out"). La voce di Dorothy si inserisce in maniera delicata, a volte solo un po' più che un sussurro.

Voto: 7,9/10

Genere: indietronica












Miss Kittin - Batbox [Nobody's Bizzne 2008]

Miss Kittin è una nota ed apprezzata dj francese con una spiccata immagine da "bad girl".
Questo è l'ultimo disco, altri non ne ho sentiti. Per intenderci sulla carta non è troppo diversa da Dot Allison, mentre nella realtà il risultato è ben più "acido" e dance-oriented. Come quella proposta da Dot Allison però anche questa è elettronica di gran classe, danzereccia certo, ma in grado di rivelarsi assolutamente affine anche alle orecchie di un ascoltatore di rock.

Voto: 7,3/10

Genere: indietronica












Infected Mushroom - I'm the Supervisor [JVC Japan 2005]

E qui invece andiamo sul tunz vero e proprio. Gli Infected Mushroom sono un duo israeliano di Tel Aviv, molto rinomati per la loro fusione tra techno "dura" e ritmi e sonorità etniche in un genere definito "psytrance".
Non sono i Chemical Brothers, qui la cassa picchia e di brutto, roba da tirar giù i vetri. Eppure sono le tante e continue raffinatezze, i cambiamenti d'atmosfera o addirittura di genere, la varietà di suoni e di strumenti (ci sono anche parecchie chitarre, per intenderci), l'innegabile talento nel costruire al momento giusto sequenze melodiche entusiasmanti a rendere "I'm the Supervisor" tanto valido.
Probabilmente il rocker più puro avrà bisogno di svariati passaggi intermedi prima di riuscire a digerire un disco del genere.
Quanto a me, gimme some more!

Voto: 8,3/10

Genere: techno, psytrance












Ai Otsuka - Love Jam [Avex Trax 2005]

Questo è un altro disco che adoro della ragazzina terribile di Osaka. Si passa da brani letteralmente scatenati ("Superman", "Happy Days", "Pon Pon") a meraviglie pop-dance ("Moso Chop") a ballate da brivido (su tutte la meravigliosa "Daisuki Da Yo"). Insieme a "Love Cook" indiscutibilmente il migliore.

Voto: 8,0/10

Genere: J-pop












Descendents - Milo Goes to College [New Alliance Records 1982]

Il punk rock dei californiani Descendents ebbe il pregio di introdurre nella durezza dell'hardcore una marcata sensibilità melodica, anticipando gran parte del cosiddetto punk rock melodico di lì a venire.
A parte questo, Milo Goes to College è un gran bel disco.

Voto: 7,0/10

Genere: punk rock












Clock dva - Advantage [Wax Trax! 1983]

Non sono un grandissimo estimatore dell'industrial, almeno non per il momento. Ma questo disco lo adoro. Sarà che si distanzia dalle sonorità industriali più dure, saranno gli arrangiamenti di fiati, saranno gli incredibili groove tra batteria e basso, oppure sarà l'atmosfera genialmente cupa e decadente che avvolge l'intero album. Sarà il cantato minaccioso e marziale di Adi Newton, saranno quelle aperture melodiche che proprio non ti aspetteresti. Ma se Advantage non è un capolavoro ... anzi, che dico. E' un capolavoro.

Voto: 9,5/10

Genere: industrial, post-punk












The Dillinger Escape Plan - Ire Works [Wea/Relapse 2007]

Un solo ascolto probabilmente non basta, ma forse è sufficiente a capire l'entusiasmo che si è creato attorno all'ultimo disco dei Dillinger Escape Plan sulla stampa specializzata.
Alle tipiche sfuriate mathcore si affianca una dose sempre maggiore di sperimentalismo e di contaminazione, sconfinando a tratti nella fusion; dall'altra parte, ecco parti semi lineari, vocalmente fruibili, melodiche.
Un affascinante incontro fra ordine e caos.

Voto: 7,2/10

Genere: mathcore

mercoledì 9 gennaio 2008

Al cinema col grande Cthulhu - parte 1

Quand'ero ancora al liceo ho sviluppato una grande passione per i racconti e la mitologia di H. P. Lovecraft; ho letto praticamente tutto il leggibile, e tutto più di una volta. Tuttavia mi sono recentemente reso conto di non avere mai indagato a dovere le trasposizioni filmiche dei lavori del solitario di Providence. Ce ne sono? Ma soprattutto, ce ne sono di valide?

Stando a quanto ho potuto appurare fino ad ora, la risposta è ad entrambe le domande.

Per cominciare, l'altro ieri sera ho visto in sequenza:

Dagon (2001)

From Beyond (1986)

Entrambi ispirati al ciclo dei miti di Cthulhu di H. P. Lovecraft, sono entrambi diretti da Stuart Gordon e prodotti da Brian Yuzna, la stessa coppia di Re-animator del 1985 (di cui parlerò in futuro).


Dagon è ispirato a due importanti racconti di Lovecraft (The Shadow over Innsmouth e Dagon, appunto) incentrati su una sperduta cittadina marittima i cui abitanti, abbandonata la fede cristiana, hanno iniziato ad adorare un antico e sanguinario dio del mare, che concede abbondanza di pesce e oro in cambio di riti in suo onore e sacrifici umani.
La "salvezza" offerta da Dagon è ben diversa da quella del Dio cristiano: gli abitanti del villaggio evolvono e mutano lentamente prima in creature anfibie, per poi trasferirsi definitivamente nel mare e vivere per sempre in adorazione di Dagon.
Il film mi è decisamente piaciuto, in quanto oltre ad una realizzazione tecnica di buon livello (quando non ottimo) offre un panorama di situazioni e personaggi davvero irresistibili per un appassionato del maestro di Providence. L'atmosfera è pesantissima, maligna; gli abitanti di Imboca (così è rinominata Innsmouth nel film) si aggirano zoppicando per le vie buie e umide emettendo suoni raccapriccianti simili ai gracidii delle rane, e i loro corpi mostrano i disgustosi segni della mutazione, le dita palmate, gli occhi vitrei.
La trama ha un inizio molto semplice per poi complicarsi parecchio, nel rispetto dei racconti originali.
Due coppie sono in vacanza su una barca a vela, al largo della costa spagnola. Improvvisamente nei pressi della costa incappano in una tremenda tempesta, l'imbarcazione si arena sugli scogli e una donna si ferisce gravemente ad una gamba; l'unica soluzione per Paul e la sua fidanzata è andare a cercare aiuto per i loro amici al villaggio che si vede sulla riva.
Tuttavia non appena i due sbarcano risulta evidente che c'è qualcosa di strano: non si vede anima viva, porte e finestre sono sbarrate, e si ode uno strano canto, simile ad una cerimonia. I due giungono ad una chiesa che reca uno strano simbolo e la scritta "Esoteric Order of Dagon" ...

Nel corso della visione non mancano, insieme a mostri e deformità assortite, un paio di scene splatter davvero truculente.
Altra nota di merito sono le frequenti sequenze oniriche, in cui il protagonista sogna di nuotare negli abissi tra le rovine di una civiltà dimenticata; grazie ad esse la storia guadagna in profondità e pathos.
Unica pecca degna di nota è proprio il protagonista (Ezra Godden), piuttosto scialbo; un Jeffrey Combs sarebbe stato di certo tutta un'altra cosa.


From Beyond (dal racconto omonimo del 1920), per quanto più vecchio e dall'aspetto assai meno "lucido", quasi da b-movie, è un pugno nella stomaco, un vero delirio di visioni allucinate, carni straziate, corpi deformati.
La storia è semplice e brutale: due scienziati, il dottor Pretorius (Ted Sorel) e il suo assistente Crawfford Tillinghast (Jeffrey Combs), costruiscono un "risonatore", ovvero un diapason che vibrando ad una determinata frequenza manda in risonanza la ghiandola pineale di chi si trova nel suo raggio d'azione. Questa ghiandola secondo la teoria di Pretorius (mutuata da Cartesio) costituirebbe un "sesto senso" sopito, il favoloso "terzo occhio", e le vibrazioni ne aiuterebbero il risveglio spalancando le porte alla percezione di un altro mondo ....
Un esperimento finisce male, Pretorius scompare; Tillinghast è accusato del suo omicidio e internato in un manicomio - viste le sue continue allusioni a "creature che non possiamo vedere ma che sono sempre intorno a noi".
La psichiatra Katherine McMichaels (una bella e brava Barbara Crampton), non credendo alla sua pazzia, vuole aiutarlo a riottenere la libertà; ma l'unico modo per farlo è ripetere l'esperimento ...

Il film coniuga una trama infarcita di temi oltremodo "malati" a scene morbose ed effetti speciali "esagerati" - in cui a farla da padrone è lo scempio più sfrenato dell'integrità corporea - riuscendo appieno nel compito di turbare lo spettatore con una vera e propria esperienza da incubo.


Dopo i film però ho fatto un po' fatica a prendere sonno, avrò mangiato pesante? Mah.